Trentamila medici in più nel 2030: è l’obiettivo che si propone il piano presentato dai tecnici della ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, per rimpolpare il numero di camici bianchi dopo l’emorragia degli ultimi anni. Il numero chiuso rimarrebbe e si punta all’aumento progressivo degli slot a disposizione nei prossimi sette anni, con un’ipotesi di 19mila professionisti in più già per il 2023. Ma resta il nodo degli specialisti e il rischio bolla tra dieci anni.
Il documento degli esperti, che sviluppa oltre 50 pagine al netto degli allegati, si apre rivendicando il proprio valore «prospettico», volto cioè «ad analizzare, dal punto di vista temporale, il medio – lungo periodo, al fine di garantire la sostenibilità del sistema». E prosegue con le considerazioni dei vari soggetti auditi: la Federazione dell’ordine dei medici (Fnomceo) ha battuto da subito sul duplice tasto del fabbisogno di specialisti da garantire e dell’orientamento da migliorare, magari con un potenziamento dei licei a curvatura biomedica; l’Ente previdenziale Enpam ha quantificato in 24mila i medici che mancheranno all’appello nel 2028; l’Istat ha sottolinato come i “camici bianchi” over 55 negli negli ultimi 10 anni siano saliti dal 46,4% al 55,2%; l’Anvur ha spiegato che se si vogliono aumentare gli slot bisogna rivedere il parametro di 60 studenti ogni 18 docenti oggi previsto per accreditare una nuova laurea in Medicina; il Consiglio nazionale degli studenti (Cnsu) ha chiesto di concentrarsi, nell’immediato sull’aumento delle disponibilità e, negli anni futuri, sull’abrogazione del numero programmato; l’Anaao – Assomed ha acceso un faro su alcune professionalità che già adesso risultano sguarnite, come la medicina d’emergenza e urgenza negli ospedali dove mancano 84.500 unità (da qui la scelta di allentare la stretta nel Dl bollette sui cosiddetti “gettonisti”: si veda articolo a pagina 32).
Fatte queste premesse e analizzati tutti i termini della questione, incluso quello cruciale dell’imbuto formativo che affrontiamo qui accanto, la commissione prova a stimare i fabbisogni di medio-lungo periodo e sottopone alla ministra Bernini una serie di proposte per aumentare gli ingressi cercando di mantenere alta la qualità della formazione. A cominciare dalla necessità di mantenere il numero programmato «a garanzia della qualità della formazione e del riconoscimento europeo del titolo rilasciato». E proseguendo poi con l’idea di accrescere «progressivamente» il numero di accessi per ulteriori 30.000 posti spalmati in un arco temporale di sette anni con annessa rivalutazione a partire dal 2030. In pratica, si suggerisce di portare da 60 a 75/78 il parametro della numerosità massima di studenti prevista dall’allegato D del Dm 1154/2021 per il corso di laurea magistrale a ciclo unico in “Medicina e Chirurgia”. Per farlo servirebbero 23 milioni (stando a una stima della Conferenza dei rettori) in più da destinare alle università per aumentare gli investimenti in strutture, laboratori, personale. A loro volta, anche le Regioni dovrebbero adeguare le strutture del Servizio sanitario nazionale per accogliere gli i tirocinanti.
Se la proposta venisse applicata così com’è e già da quest’anno entro l’estate potremmo vedere salire gli slot per i test d’ingresso del 2023 dagli attuali 14.787 a quasi 19mila. A fronte di una platea di iscritti ai Tolc online gestiti dal consorzio Cisia, che da quest’anno sostituiscono il vecchio quiz nazionale, che ha raggiunto i 72.450 per la prima sessione (svoltasi dal 13 al 22 aprile). In attesa di sapere quanti si registreranno anche per la seconda “finestra” in calendario dal 15 al 25 luglio. A differenza del passato, quando si svolgeva in un unico giorno per tutti, il tentativo potrà essere ripetuto (due volte per ciascun anno solare) e ci si può candidare sin dalla quarta superiore, fermo restando che per l’iscrizione vera e propria bisognerà comunque conseguire il diploma. Chi parteciperà a entrambe le sessioni, di fatto, raddoppierà le sue chance dal momento che potrà scegliere quella con il punteggio migliore. Un sistema, quello dei Tolc, di cui la relazione non parla e che dunque possiamo immaginare venga confermato anche l’anno prossimo.
Ma resta il nodo specialisti e il rischio bolla tra dieci anni- Focus sulle borse post laurea. Atteso nel 2033 il crollo dei pensionamenti
E sì perché non basta la laurea per fare un medico. Dopo sei anni di studi gli aspiranti camici bianchi devono infatti specializzarsi vincendo un posto messo a bando dalle università per i corsi di specializzazione (dalla cardiologia alla chirurgia, dalla pediatria all’oncologia eccetera) che durano da tre a cinque anni, passaggio ineludibile se si vuole lavorare in ospedale. Una specializzazione necessaria anche per diventare medico di famiglia. Dal 2030 va dunque programmato un numero di borse adeguato a quello dei laureati che vanno orientati a tutte le specializzazioni come sottolinea il documento messo a punto dagli esperti nominati dalla ministra Bernini.
Il rischio altrimenti è quello di riesumare il fenomeno del cosiddetto «imbuto formativo» che ha penalizzato tanti giovani laureati in medicina nel recente passato perché i posti per specializzarsi non erano sufficienti per tutti quanti. Gli esperti segnalano come negli ultimi anni il fenomeno sia stato «riassorbito» grazie all’aumento dei contratti per specializzarsi (con il record di 17.400 borse nel 2020), mentre per i prossimi anni si potrà ricorrere anche ai «fondi dei contratti non assegnati o abbandonati». Ma resta il nodo del loro finanziamento a lungo termine oltre al «problema di attrattività» di alcune specialità», perché la «mera azione di aumento del numero di posti per tali specialità non appare idonea a risolvere il problema della carenza di medici specialisti in tali branche», avverte il documento. Che suggerisce tra le altre cose un ripensamento della scuola di specializzazione per la medicina d’urgenza (quella dei pronto soccorso) e più in generale interventi di «valorizzazione della spinta vocazionale», ma anche di «regolamentazione della possibilità di scelta» dei posti a bando puntando anche alla «disincentivazione di scelte di “comodo” penalizzando gli eventuali abbandoni».
Fin qui il primo “tappo” subito dopo la laurea in Medicina. Perché come sottolineano anche alcuni esperti ascoltati dal ministero per redigere il documento c’è il rischio anche che dopo l’«imbuto formativo» si crei anche un «imbuto lavorativo» causato da una “bolla” di nuovi camici bianchi e cioè una offerta più alta della domanda che ci sarà. Questo effetto è legato sempre al fatto che i nuovi medici saranno pronti solo tra dieci anni (tra laurea e specializzazione), proprio in coincidenza con il crollo delle uscite per i pensionamenti dei medici dal Servizio sanitario che è previsto maggiore proprio tra il 2033 (quando sono attese solo 7.500 uscite) e il 2036. Un paradosso se si pensa alla grave carenza di medici di questi ultimi anni che è coincisa con il maxi esodo di pensionamenti che avviene tra i 65 e i 67 anni d’età e che prevede il picco della gobba pensionistica nel 2024 con circa 15.500 uscite.
Certo su questo conteranno anche le scelte della politica e la volontà di investire nella Sanità con più risorse e soprattutto più assunzioni di medici e infermieri (sulla cui carenza il documento si sofferma a lungo) a fronte di una popolazione che invecchia sempre di più con gli over 65 – oggi il 23,5% degli italiani – che «potrebbero rappresentare – ricorda il documento inviato al Mur – il 34,9% del totale della popolazione entro il 2050».