Il Corriere del Veneto. Se la paura è di veder coincidere la pandemia da Covid-19 con la diffusione di un altro coronavirus, cioè quello dell’influenza, per il momento si può stare tranquilli. La malattia di stagione si è appena affacciata nel Veneto, ma in forma così ridotta che alla rete Influnet del ministero della Salute per ora sono stati segnalati appena 11 casi da 20 medici sentinella. E in generale si calcola un’incidenza di 0,42 pazienti per mille assistiti (circa 2058 potenziali casi), contro l’1,93 per mille di inizio dicembre 2019 (9457 malati). I motivi della scarsa circolazione dell’influenza sono molteplici. Uno l’ha illustrato Antonino Bella, epidemiologo dell’Istituto superiore di Sanità: «Normalmente la stagione si apre a metà ottobre ma quest’anno non è avvenuto, per la presenza di un altro virus, che ha scatenato una competizione virale: un patogeno ne scalza un altro. Il picco è comunque previsto tra gennaio e febbraio».
L’altra osservazione scientifica è che circoleranno virus influenzali già comparsi in passato (ceppo A sottotipo H3N2, A-H1N1 e ceppo B) e quindi gran parte della popolazione adulta ha sviluppato gli anticorpi per combatterli. In più, sebbene in varianti leggermente più leggere, sono ricompresi nei vaccini. «E infatti se siamo ancora sotto soglia è anche perché, a differenza degli anni scorsi, la copertura vaccinale è già alta — osserva il professor Vincenzo Baldo, ordinario di Igiene all’Università di Padova e da gennaio 2021 presidente per il Triveneto della Società italiana di Igiene —. Le scorte sono esaurite (la Regione ne ha comprate 1.340.000 dosi, ndr ), perciò dovremmo vedere una buona risposta alla patologia, già fortemente contenuta dalle misure anti Covid-19. L’uso della mascherina, la distanza sociale e l’igiene costante delle mani riducono in maniera significativa tutte le malattie trasmissibili per via aerea e quindi anche l’influenza dovrebbe avere un impatto minore rispetto al passato». Insomma, almeno per ora è difficile che le due infezioni possano sovrapporsi. «Il Covid-19 sta circolando da un anno ed è possibile che si imponga sugli altri virus — conferma Baldo —. Dobbiamo inoltre considerare che il lockdown e le altre misure di contenimento del coronavirus hanno drasticamente limitato altre malattie infettive, come il morbillo e la pertosse, di cui non si hanno ancora evidenze significative».
Il problema è la paura. Se da una parte la gente non teme gli assembramenti nei locali, nei negozi, nelle feste private e anzi grida allo scandalo se non può andare a sciare o a fare shopping il sabato e la domenica nei centri commerciali, dall’altra appena ha un po’ di mal di gola prende d’assalto medico di famiglia, Guardia medica e Pronto Soccorso. «Siamo sommersi di telefonate di pazienti nel panico perché hanno 37 di febbre — conferma Domenico Crisarà, vicepresidente nazionale e segretario padovano della Fimmg (medici di famiglia) —. I casi di influenza vera e propria sono pochissimi ma l’improvviso arrivo del freddo e la diffusione di sindromi para-influenzali ci stanno facendo impazzire. Eseguiamo e prescriviamo decine di tamponi, anche se poi la maggioranza dei casi si risolve appunto in raffreddori, infezioni alle vie aeree, tosse e mal di gola. Ma la gente ha paura e poiché i vaccini anti-influenzali hanno coperto meno della metà delle richieste per noi il carico è doppio, tra reale pandemia e verifica di eventuale presenza della malattia di stagione o di patologie minori. E abbiamo anche il problema — chiude Crisarà — di dover gestire i pazienti a casa in attesa dell’esito del tampone o dell’evoluzione della malattia diagnosticata. Quando ci avvicineremo al picco dell’influenza sarà sempre più difficile la diagnosi differenziata nei non vaccinati». La Regine ha ordinato altre tremila dosi di anti-influenzale per adulti e 30mila, spray, per i bambini da 24 mesi a 6 anni.
«E noi li aspettiamo, io per esempio ho potuto vaccinare solo 40 bambini a fronte del doppio di richieste e dei 400 eleggibili — spiega Fabrizio Fusco, presidente regionale della Società italiana di pediatria —. Rischiamo di essere in ritardo, perché i minori fino a 9 anni devono assumere due dosi, a distanza di un mese l’una dall’altra, quindi la seconda potrebbe arrivare a picco iniziato. Al momento abbiamo visto solo qualche caso di influenza, anche perché a scuola i bimbi usano le mascherine, le attività extra come quelle sportive sono sospese, perciò la trasmissione è più difficile». Il problema sono i piccoli sotto i sei anni iscritti a Nido e scuola materna, perché per loro non c’è l’obbligo di mascherina e il rispetto della distanza sociale è impossibile. «In caso di sintomi sospetti — aggiunge Fusco — la diagnosi è tracciabile solo con il tampone, che però ancora non facciamo. La Regione dovrebbe fornirceli prima di Natale, ma li useremo solo per testare i bambini a fine quarantena e ormai asintomatici, per consentirne il rientro a scuola. Effettuarli sui casi sospetti è impensabile, se vogliamo mantenere gli ambulatori Covid-free».