Che l’influenza aviaria avesse già da tempo cominciato a infettare mammiferi era noto e temuto, ora dagli Usa arriva la notizia che una persona è risultata positiva all’attuale ceppo H5n1 dell’influenza aviaria ad alta patogenicità attraverso bovini da latte. A informare del caso sono le autorità federali e statali del Texas. “Il paziente ha riferito un arrossamento degli occhi (compatibile con congiuntivite) come unico sintomo e si sta riprendendo”, hanno affermato i Centers for Disease Control and Prevention (Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie). Il trattamento suggerito è il farmaco antivirale usato per l’influenza, in isolamento per non trasmettere il contagio.
I sintomi nei bovini – Già nei giorni scorsi, il 27 marzo scorso, il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti aveva reso noto che alcune mucche da latte di quattro allevamenti negli stati del Texas e Kansas erano risultati positivi a virus dell’influenza aviaria. L’indagine era scattata dopo che le mucche, soprattutto alcuni esemplari più anziani, avevano iniziato a manifestare sintomi come la diminuzione della produzione di latte e la riduzione dell’appetito. Le autorità quindi hanno cominciato a monitorare la situazione e a condurre altri test.
Le positività in quattro stati – Secondo le prime rilevazioni, negli allevamenti interessati, circa il 10% dei capi era colpito dall’infezione, mentre la mortalità nulla o bassissima. Il latte prodotto da animali non in salute non è entrato nel circuito commerciale. “Inoltre, la pastorizzazione ha continuamente dimostrato di inattivare batteri e virus – come quello dell’influenza – nel latte” ha rassicurato il dipartimento dell’Agricoltura. A oggi si ritiene che la fonte dell’infezione possano essere uccelli selvatici: in uno degli allevamenti sono stati trovati infatti alcuni esemplari deceduti. Il 29 sono state riscontrate nuove positività in un allevamento in Michigan e qualche giorno prima, in Minnesota, il virus dell’aviaria era stata rilevato in una capretta che viveva in un allevamento dove era stato riscontrato un focolaio nel pollame.
I Cdc: “Basso rischio per la salute umana” – Comunque secondo i Cdc il rischio per la popolazione generale continua a rimanere basso. L’analisi genetica ha concluso che il virus che ha colpito i bovini è lo stesso diffuso negli uccelli a livello globale; inoltre non ha subito cambiamenti che lo rendano più adatto alla diffusione nell’uomo o più resistente ai trattamenti antivirali disponibili. Per i Cdc, l’infezione umana confermata ieri (la seconda negli Stati Uniti, dopo un caso nel 2022) “non cambia la valutazione del rischio per la salute umana dell’influenza aviaria H5N1 per il pubblico generale degli Stati Uniti, che il Cdc considera bassa”, si legge in una nota. Attenzione, invece per “le persone con esposizioni strette o prolungate e non protette a volatili infetti o altri animali (compreso il bestiame), o ad ambienti contaminati da volatili infetti o altri animali”: queste “sono a maggior rischio di infezione”.
Il Fatto quotidiano