Se all’idea che il mondo stia vivendo un’epidemia gigantesca vi viene in mente “solo” il Covid, forse dovreste pensare con maggior lungimiranza, e magari guardare all’influenza aviaria. Se c’è una cosa che il Coronavirus, con tutte le sue terribili conseguenze, dovrebbe averci insegnato, è che è bene non arrivare impreparati a una pandemia. Prevenire è meglio che curare, dicevano una volta le nonne, e il principio sembra essere ancora valido. Eppure la lezione sembra faticare a entrarci in testa, tanto che oggi, con ogni probabilità, ci stiamo preoccupando ancora troppo poco dell’influenza aviaria.
Un virus la cui diffusione è stata facilitata, nei paesi asiatici, dalla vendita di pollame vivo ai mercati. Un virus che ha manifestazioni molto diverse, ma che nelle forme altamente patogeniche fa insorgere una malattia improvvisa, “seguita da una morte rapida quasi nel 100% dei casi” (fonte: ISS). Un virus instabile, soggetto a numerose mutazioni, che può avere uno “shift genetico”, ovvero può vedere la nascita di un nuovo sottotipo virale capace di indurre la malattia anche in soggetti che siano stati preventivamente vaccinati contro i ceppi parentali.
Vi ricorda per caso qualcosa? Be’, dovrebbe.
Con l’influenza aviaria – malattia degli uccelli causata da un virus dell’influenza di tipo A – ci abbiamo a che fare da tanto, da molto più di quanto possiate pensare (in Italia è stata identificata per la prima volta più di un secolo fa). Tuttavia oggi siamo a un punto particolarmente preoccupante, inutile negarlo. L’epidemia che stiamo affrontando nei pollai, e che ha preso il via nel corso del 2003, sembra essere arrivata a un punto di non ritorno. In quest’ultimo anno il virus ha circolato come non mai. Negli Stati Uniti, nei primi nove mesi dell’anno, sono stati colpiti quasi 50 milioni di volatili in 42 stati.
In breve, l’aviaria è un problema serio come mai prima, e non riguarda solamente il fatto che non troveremo più uova su cui grattare il tartufo, tacchini per il Giorno del Ringraziamento o foie gras per le nostre cene d’occasione.
I pericoli per l’uomo
“Secondo gli epidemiologi, ci sono una serie di elementi che rendono H5N1 il candidato favorito per una prossima pandemia“: a dirlo non siamo noi, ma l’Istituto Superiore della Sanità. Il rischio di salto di specie, è il caso di dirlo senza passare per inutili allarmisti, con questi numeri si fa sempre più alto.
“Dall’inizio del 2003, H5N1 ha effettuato una serie di salti di specie, acquisendo la capacità di contagiare anche gatti e topi, trasformandosi quindi in un problema di salute pubblica ben più preoccupante“, spiega l’Istituto Superiore della Sanità . “La capacità del virus di infettare i maiali è nota da tempo, e quindi la promiscuità di esseri umani, maiali e pollame è notoriamente considerata un fattore di rischio elevato“. E ancora, l’ISS fa presente come: “nelle epidemie recenti, a partire dal 2003, è stata documentata la capacità di questo virus di contagiare direttamente anche gli esseri umani, causando forme acute di influenza che in molti casi hanno portato a morte. Il rischio principale, che fa temere l’avvento di una nuova pandemia dopo le tre che si sono verificate nel corso del XX secolo (1918, 1957, 1968), è che la compresenza del virus aviario con quello dell’influenza umana, in una persona infettata da entrambi, faciliti la ricombinazione di H5N1 e lo renda capace di trasmettersi nella popolazione umana“.
https://www.dissapore.com/alimentazione/influenza-aviaria-perche-lepidemia-piu-grave-di-sempre-non-ci-preoccupa-quanto-dovrebbe/