L’anno scorso l’influenza mise a letto 310mila veneti, uccidendone 7 (8,7 milioni gli infetti in Italia e 173 i morti), e durò fino a fine febbraio. Fu una stagione molto pesante ma non va sottovalutata nemmeno quella in arrivo, secondo gli esperti di intensità medio/alta e in grado di colpire almeno 5 milioni di italiani. L’unica difesa è il vaccino, perciò la Regione ne ha comprate 900mila dosi, 100mila in più dell’anno scorso. Si tratta di 700mila sieri quadrivalenti, a disposizione dei soggetti a rischio tra zero e 75 anni (le persone sane possono comprarlo in farmacia e farselo inoculare dal medico di base o all’Usl), e di 200mila con l’audiuvante, che ne potenzia l’effetto, riservati agli over 65 ricoverati in casa di riposo, quindi con un sistema immunitario più debole. Sono dati emersi ieri, al convegno «Il mondo dei vaccini: loro sviluppo e impiego», organizzato a Venezia dal Dipartimento di Medicina molecolare dell’Ateneo di Padova con la Società italiana di Virologia, presieduta dal padovano Giorgio Palù.
«L’anno scorso la Regione acquistò l’anti-influenzale trivalente — ha spiegato il professor Palù — era composto dai due virus di ceppo A, H1N1 e H3N2, e da uno solo di ceppo B, il Victoria. Ma a circolare fu l’altro virus B, lo Yamagata. Ecco allora la decisione, per l’inverno 2018/2019, di optare per il quadrivalente, che contiene i due virus del ceppo A ed entrambi i virus del B». Tradotto: stavolta il vaccino dovrebbe garantire una copertura molto più ampia, almeno dell’80% — il 100% è impossibile, perchè il virus muta continuamente e l’anti-influenzale viene prodotto sei mesi prima della sua ricomparsa — e in ogni caso attenuare molto i sintomi dell’infezione. «La prevenzione è fondamentale — ha ammonito Palù — l’influenza uccide ogni anno 300/500mila persone nel mondo. Eppure la categoria che si vaccina meno è quella degli operatori sanitari (in Veneto meno del 20%, ndr ), che dimostra così poco rispetto nei confronti dei pazienti». «Abbiamo vaccini eccezionali, ma non vengono usati — ha denunciato il professor Pier Luigi Lopalco, igienista e docente all’Università di Pisa — per l’influenza la copertura è ancora molto al di sotto dell’obiettivo del 75% imposto dal ministero della Salute (in Veneto nel 2017 si è arrivati appena al 56%, ndr ). I problemi sono due. Primo: strategia e comunicazione sbagliate, che fanno passare l’influenza come una malattia degli anziani e invece è una minaccia per i bambini da zero a 4 anni ma anche da 5 a 14, le cui difese immunitarie non sono ancora in grado di combatterla. E poi i piccoli hanno una socialità più intensa. Secondo: si è persa fiducia nei vaccini. La gente continua a dire: mi sono ammalato pur avendo in corpo il vaccino, che allora non funziona. Non è vero, l’anti-influenzale abbatte almeno il 50% dell’infezione, che non è poco. Aspettiamo il vaccino universale».
E a proposito di progressi della scienza, sono allo studio i vaccini sintetici. «Quelli biologici hanno già salvato e continuano a salvare milioni di vite — ha detto il professor Rino Rappuoli, microbiologo, medaglia d’oro al Merito della Sanità Pubblica nel 2005 (nel 1990 ha messo a punto il primo vaccino al mondo contro il meningococco C e A) — e dal 1700 a oggi ci hanno fatto guadagnare 55 anni di vita. Ma l’abbassamento delle coperture ha riportato il tetano, la poliomelite e la difterite, che in Venezuela l’anno scorso ha ucciso 160 persone. I vaccini sono una conquista di civiltà, funzionano bene e ora la biologia sintetica, che stiamo usando contro l’ebola, apre nuove frontiere». Anche l’équipe di Palù, a capo del Dipartimento di Microbiologia di Padova, sta lavorando sui vaccini sintetici, ricavati selezionando dalla sequenza del genoma del virus un gene che riproduce l’infezione nelle cellule, stimolando il sistema immunitario a riconoscerla. «L’anti-West Nile, già a punto, è in parte sintetico — rivela Palù — e poi abbiamo provato altri vaccini sintetici contro l’Hiv, senza successo, e contro la Tbc, l’infezione più diffusa al mondo con 2 miliardi di contagi, e che sta diventando antibiotico-resistente. Ricerche in vitro e sugli animali, perchè per mettere in commercio un vaccino ci vogliono vent’anni».
L’altra grande emergenza è il morbillo, che tra il 2017 e il 2018 in Italia ha colpito 7743 persone (316 in Veneto), provocando 10 decessi. «Un’epidemia mai vista — ha avvertito Fabio Magurano dell’Istituto superiore di Sanità — legata a una copertura ferma all’85,8%, a fronte del 95% di soglia ottimale. Abbiamo allora attivato una rete di sorveglianza per morbillo e rosolia, la MoRoNet, forte di 14 laboratori regionali, uno dei quali in Veneto, deputati a confermare le diagnosi e a genotipizzare i casi. Dati che poi invieremo all’Oms».
corveneto