Si tratta di un altro tassello del mega studio Human Microbiome Project varato dai National Institutes Health americani nel 2008 e chi si va ad aggiungere al complicato e affollatissimo puzzle dello studio del microbioma umano. Uno studio questo dall’importanza pari forse solo a quello che ha portato al sequenziamento del genoma umano, con il quale esistono tanti parallelismi. Non ultimo quello di imparare ad essere pazienti, prima di poterne vedere le ricadute nella pratica clinica
E’ il più grande censimento del microbioma umano mai realizzato finora e a compiere l’impresa sono stati i ricercatori della University of Maryland School of Medicine (UM SOM), dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health, BroadInstitute del MIT e Harvard, della University of California San Diego.
Lo studio, pubblicato su Nature ha permesso di individuare milioni di geni in precedenza sconosciuti, appartenenti alle comunità microbiche intestinali, vaginali, cutanee e orali. Secondo gli autori si tratta di un risultato eccezionale che consentirà una miglior comprensione delle dinamiche del microbioma umano, in condizioni fisiologiche e di malattia.
“Questi dati espandono in maniera importante le nostre conoscenze sulla composizione del microbioma – afferma Owen White, professore di epidemiologia e salute pubblica e direttore presso l’Istituto per le Scienze del Genoma (IGS) della UM SOM – Questi microrganismi giocano un ruolo cruciale in molti aspetti della nostra salute; più ne sappiamo, maggiori le probabilità di riuscire un giorno a manipolarli per migliorare il nostro stato di salute”.
Ma è solo un piccolo passo in avanti. “Così come il sequenziamento del genoma umano – riflette il primo autore dello studio Jason Lloyd-Price, Broad Institute, Harvard Chan School – senza informazioni sulla variabilità o il contesto non ha avuto come ricaduta immediata quella di portare ad una messe di nuovi farmaci e terapie, in modo analogo dovremo imparare a leggere il microbioma attraverso lenti molto potenti, in tanti contesti diversi, così da poterne comprendere le alterazioni e modulare degli interventi sul singolo individuo o su una specifica condizione patologica.”
Maria Rita Montebelli
20 settembre 2017 – Quotidiano sanità