Un puzzle di mezzi di trasporto di ogni tipo con le più svariate composizioni di equipaggi, dai medici ai volontari. Elisoccorso e trasporto neonatale ancora «estremamente carenti nella maggior parte delle Regioni».
Due sole Regioni (Lombardia e Lazio) hanno agenzie regionali per l’emergenza-urgenza nel tentativo di riorganizzare la rete dei servizi. «Drammatica» la situazione della distribuzione delle specialità nei pronto soccorso e nei Dea secondo criteri epidemiologici e/o demografici: solo il 47% dei Dea è stato realizzato così e in Campania e Calabria il criterio non è seguito in nessuna struttura.
Una situazione diversificata ben di più della tradizionale “macchia di leopardo” e che fa acqua da tutte le parti, quella delle reti di emergenza e urgenza e del trasporto dei malati.
A scattare la fotografia e a commentare i dati è un’indagine conoscitiva avviata a giugno 2008 dalla commissione Igiene e Sanità del Senato che ha tirato le somme dei dati raccolti con questionari inviati a tutte le Regioni a cui ha risposto in media il 75% delle strutture coinvolte: l’84% al Nord, l’80% al Centro, poco più del 50% al Sud. Un ampia sintesi e il commento dei dati è pubblicato sul prossimo numero del settimanale Il Sole-24 Ore Sanità.
Le lacune più evidenti del sistema, sottolinea l’indagine, sono proprio sulle due strutture-tipo dell’emergenza (assieme al pronto soccorso): Dea (dipartimenti di emergenza e accettazione) ed Eas (emergenza di alta specialità). I bacini di utenza dei Dea vanno da un minimo di una struttura ogni 14mila abitanti per Toscana e Abruzzo, fino a uno ogni 1.200.000 abitanti del Lazio e uno ogni 1.300.000 abitanti della Lombardia, con una forbice «evidentemente inaccettabile», commenta la relazione.
Anomala anche la distribuzione dei Dea sul territorio nazionale, con un eccesso di strutture specializzate in alcune Regioni come Emilia Romagna, Campania e Puglia, dove a fronte di un «logico rapporto» Dea ed Eas del 70 e del 30 per cento, si registra un rapporto del 40 e del 60% «con evidente inutile spreco di risorse che potrebbero essere utilmente impiegate in altri settori».
L’indagine giudica «drammatica» in particolare la situazione dell’attività di pronto soccorso e Dea. Solo il 47% dei Dea è stato realizzato tenendo conto per la distribuzione delle specialità e delle superspecialità sul territorio e di dati territoriali demografici e/o epidemiologici. Alcune Regioni come Calabria e Campania rispondono negativamente nel 100% dei casi.
L’anello debole della catena dei soccorsi, secondo l’indagine, è il livello intraospedaliero. Con due dati «sconvolgenti»: 241 minuti d’attesa media nei Dea e la punta di 451 minuti in Abruzzo, e i percorsi privilegiati per gli accertamenti diagnostici per i pazienti di pronto soccorso inesistenti salvo che in pochissime realtà. Lo stesso vale per le procedure per patologia presenti nelle Regioni migliori solo nel 50% dei Dea e del tutto assenti in Basilicata, Molise e Sicilia.
«Certamente troppi pazienti sono trasportati in ospedale», sottolinea la relazione in base ai tempi medi di stazionamento delle ambulanze, che in qualche caso (Lazio e Puglia) arrivano a sfiorare le 3 ore «sottraendo tra l’altro risorse per i soccorsi territoriali: questo dato è indubbiamente indicativo di una scarsissima capacità di filtro svolta dalla medicina territoriale e della assoluta mancanza di integrazione con la catena del soccorso».
Non va nemmeno la formazione del personale che risente, oltre che della progressiva precarizzazione , dell’organizzazione tardiva e a macchia di leopardo dell’intero sistema di emergenza-urgenza nelle varie Regioni.
Problematiche acuite dall’exploit degli accessi, pari a +50%, registrato negli ultimi anni. Il mancato adeguamento del personale, insomma, mal si concilia con il sovraccarico di lavoro che configura un servizio «quasi sostitutivo, soprattutto in alcune ore della notte e nelle giornate festive e prefestive, delle chiamate del medico curante o della guardia medica con i codici più bassi del 118. E a tal proposito – si precisa – sembra rilevarsi un’inadeguata copertura, anche qualitativamente formata, dei punti di primo soccorso».
È necessario, si legge ancora nella Relazione, ristabilire una presenza numerica di minima efficacia nella dotazione organica. Oggi può capitare che in un’Asl, alla previsione di 132 infermieri, si corrisponda con 12 infermieri territoriali dedicati. In definitiva, occorre salvaguardare la rispondenza tra piante organiche previste e personale in servizio «come progetto prioritario per la catena della sopravvivenza del paziente critico», impegnando i ministeri di Salute, Istruzione, Università ed Economia a collaborare per l’adeguamento di percorsi formativi specifici.
Nel complesso, dall’analisi dei questionari emerge che il personale che opera nel sistema di emergenza-urgenza segue un percorso formativo uniforme al Nord e al Centro con un 90% di risposte positive, mentre al Sud la situazione è più compromessa, con un 27% di strutture che non presentano programmi di formazione. La situazione è particolarmente critica in Abruzzo, Molise e Sicilia.
Ilsole24ore.com – 15 aprile 2011