Il Sole 24 Ore. Per milioni di italiani colpiti da altre patologie torna l’incubo delle cure che saltano. Con la pressione degli ospedali che avanza inesorabilmente a causa dei pazienti che tornano a riempire le corsie – le terapie intensive sono al 17% e gli altri reparti al 22% con Piemonte, Liguria e Calabria a un passo dalla zona arancione – le Regioni tornano a chiudere l’altra Sanità per spostare posti letto, medici e infermieri nei reparti Covid.
Dopo lo stop a tutti i ricoveri e le prestazioni non urgenti deciso nel marzo 2020, nel pieno della prima ondata, poi reiterato nell’autunno successivo durante la seconda ondata, già oggi in 16 Regioni a cui si aggiunge la provincia di Trento sono scattate misure a livello regionale o locale che bloccano del tutto o parzialmente le prestazioni sanitarie non urgenti, in pratica quelle che sono differibili. Un nuovo tsunami dunque dopo quelli passati – solo nel 2020 ci sono stati 1,7 milioni di ricoveri in meno – che qualcuno ha definito come “un’altra pandemia dentro la pandemia” per i pericolosi effetti a medio lungo termine sui pazienti causati dal rinvio di cure, diagnosi, screening e operazioni chirurgiche. È proprio di ieri l’allarme della Società italiana di chirurgia (Sic) per la drammatica riduzione degli interventi che nelle regioni vanno dal 50 all’80 per cento. Non solo: spesso non è possibile operare neanche i pazienti con tumore perché non si ha la disponibilità del posto di terapia intensiva nella fase postoperatoria.
«Sembra che non sia cambiato nulla dal marzo 2020 quando ci fu la prima ondata e si decise di fermare tutti gli interventi non urgenti, eppure ora siamo nel 2022 e non siamo stati in grado di organizzare un modello per consentire alle altre prestazioni di non fermarsi: in pratica i pazienti non Covid possono contare sul Ssn solo sei mesi l’anno, da maggio a ottobre, questo è grave perché a pagare sono soprattutto i malati cronici», avverte Tonino Aceti presidente dell’associazione Salutequità che ha realizzato per il Sole 24 Ore un monitoraggio delle misure adottate attraverso una ricerca sul web. Tutto parte da una circolare del ministero della Salute del 18 dicembre che di fatto, di fronte all’arrivo di Omicron, ha autorizzato le regioni a bloccare i ricoveri non urgenti e quelli differibili per riservare i posti letto ai malati di Covid, da allora è iniziato uno stillicidio. Tra le misure più drastiche ci sono quelle della Campania che da lunedì ha sospeso i ricoveri programmati sia medici che chirurgici. Anche la Lombardia ha rinviato gli interventi già programmati come l’Abruzzo da lunedì scorso e fino al 30 gennaio con reparti di chirurgia accorpati e ferie sospese per personale sanitario e tecnico. In Veneto è stata sospesa l’attività specialistica a 30 e 60 giorni e le attività di elezione che richiedono posti in terapia intensiva mentre in Piemonte è stata decisa la riprogrammazione delle attività ospedaliere e ambulatoriali. Anche la Valle d’Aosta – dove i ricoveri nei reparti ordinari sono al 46% – ha interrotto tutte le prestazioni non urgenti. Il Lazio ha scritto agli ospedali richiamando la circolare del ministero della Salute del 18 dicembre. Mentre nel Friuli è stato decisa la riduzione 40% dell’ attività chirurgica e nelle Marche la compressione dell’attività specialistica ordinaria e del blocco operatorio, con la riduzione dei posti letto dei reparti di chirurgia e ortopedia. Sospensioni e rallentamenti in diversi ospedali si registrano anche in Umbria, Puglia, Emilia, Liguria, Toscana, Sicilia, Calabria e Trento.
«Servono percorsi garantiti e “puliti” per gli altri pazienti e più personale sanitario. Il paradosso – conclude Aceti di Salutequità – è che l’ultima manovra stanzia altri 500 milioni per recuperare le prestazioni saltate nei mesi scorsi e ora si rischia di ricominciare daccapo. Un vero spreco».