di Alda Vanzan. Due pesi, due misure? I fatti sono i seguenti: in Veneto i dipendenti regionali, anche se sono altolocati e ricoprono il ruolo di dirigenti, quando vanno in galera vengono immediatamente sospesi dall’incarico ed è una sospensione che costa loro cara: lo stipendio viene dimezzato. Anche i politici che finiscono in gattabuia ci rimettono dal punto di vista economico, ma meno: continuano a prendere l’80 per cento dell’indennità di carica.
I veneti, in compenso, pagano per tutti. Perché oltre alle indennità (ridotte, ma pur sempre sostanziose) dei consiglieri sospesi, devono pagare anche quelle (piene) dei consiglieri supplenti. Per farla breve: le buste paga dei politici a Palazzo Ferro Fini adesso non sono più 60, ma 62. E non si sa neanche per quanto tempo.
A Palazzo allargano le braccia: effetti della legge Severino, dicono. Trattasi della nuova normativa che ha esteso i casi di sospensione per gli amministratori locali coinvolti in procedimenti penali. Una volta la sospensione scattava per vicende di mafia. Adesso, con il decreto legislativo 235 del 2012, è estesa a più casi e per applicarla non si aspetta il giudizio e nemmeno la condanna: appena si finisce in carcere o agli arresti domiciliari o anche se c’è il più semplice obbligo di firma, si viene sospesi. In Regione Veneto è successo per quattro persone, due dipendenti e due consiglieri. Ma con effetti diversi dal punto di vista retributivo. e pure sostitutivo.
Immediatamente dopo l’arresto, i dirigenti Giovanni Artico e Giuseppe Fasiol sono stati sospesi dal governatore Luca Zaia. Che non li ha sostituiti: i rispettivi incarichi sono stati attribuiti ad altri colleghi. Successivamente Artico e Fasiol sono tornati liberi e sono rientrati al lavoro, ma durante il periodo della sospensione hanno avuto lo stipendio ridotto come stabilito dal contratto di lavoro (articolo 9: “al dirigente sospeso dal servizio sono corrisposti un’indennità alimentare pari al 50% dello stipendio tabellare, la retribuzione individuale di anzianità o il maturato economico annuo, ove spettante, e gli eventuali assegni familiari”).
Cosa succede invece per i consiglieri regionali? La legge Severino dice che nel periodo di sospensione i soggetti sospesi non sono computati al fine della verifica del numero legale, né per la determinazione di qualsivoglia quorum o maggioranza qualificata. Ma specifica: “Fatte salve le diverse specifiche discipline regionali”. E la specifica disciplina della Regione Veneto dice due cose: la prima è che i consiglieri sospesi devono prendere l’80% dell’indennità di carica e la seconda è che devono essere sostituiti dai supplenti. Più semplicemente: Renato Chisso (tuttora in carcere) e Giampietro Marchese (ora ai domiciliari) sono stati sospesi dalla carica di consigliere regionale lo scorso 4 luglio (un mese dopo gli arresti) con decreto del premier Matteo Renzi, notificato al consiglio regionale per il tramite della Prefettura martedì scorso. Per il periodo della sospensione, in base a alla legge regionale 5/1997, Chisso e Marchese percepiranno “un assegno pari all’indennità di carica lorda ridotta di un quinto”. Non avranno l’indennità di funzione e nemmeno il rimborso spese, ma solo i quattro quinti dello stipendio base lordo di 6.600 euro e cioè 5.280 euro al mese. I loro “supplenti”, Francesco Piccolo e Alessio Alessandrini, subentrati ieri, avranno invece lo stipendio pieno. Ma c’era bisogno dei supplenti? Forse no, ma la norma (la legge statale 108/68 da cui dicende la legge regionale 5/2012) dice di sì. E così a Palazzo Ferro Fini si pagano 62 stipendi con 60 consiglieri effettivi.
Ps: anche a Montecitorio i deputati arrestati continuano a prendere l’indennità. Ieri i grillini hanno protestato, ma la legge è chiara.
Il Gazzettino – 10 luglio 2014