L’inchiesta su fumi e polveri dell’Ilva si estende ai mitili distrutti. L’Arpa sta effettuando le analisi sulle matrici delle sostanze nocive
Si estende alle cozze l’indagine sulle emissioni inquinanti dell’Ilva. La procura di Taranto vuole vederci chiaro sulla contaminazione dei mitili e per questo ha chiesto all’Arpa di effettuare delle analisi su un campione di mitili avviati alla distruzione un mese fa. L’indagine è stata aperta nei mesi scorsi, dopo la seconda ordinanza (la prima è del 2011) emessa a giugno scorso dall’Asl che ha disposto la distruzione dell’intera produzione del primo seno del Mar Piccolo perchè contaminate da diossina e pcb. I livelli delle sostanze inquinanti, riscontrati dalle analisi di laboratorio, sono stati ritenuti pericolosi per la salute. Di conseguenza, diverse centinaia di tonnellate di molluschi adulti, fra lo scorso anno e quello in corso, non sono finite sulle tavole ma nell’inceneritore dell’Amiu per essere distrutte. Un “funerale” che i titolari di 28 cooperative sono stati costretti a celebrare con un inevitabile e considerevole danno per le proprie aziende e quindi per l’intero settore storico dell’economia tarantina. La magistratura inquirente ha disposto tutti gli accertamenti necessari per stabilire se le matrici di diossina e pcb sono compatibili con quelle riscontrate nelle emissioni dell’Ilva. «Dalla perizia chimica su carni, formaggi e latte delle masserie i cui capi di bestiame pascolavano nei campi vicini allo stabilimento, è emerso che questo tipo di sostanze inquinanti ha le matrici, quindi – ha spiegato il procuratore Franco Sebastio – stiamo verificando se queste siano compatibili con la diossina riscontrata nelle emissioni dell’Ilva». Titolari del fascicolo, finora a carico di ignoti, sono il procuratore Franco Sebastio e il Lanfranco Marazia. Se dagli accertamenti dovesse emergere che le matrici di diossina e pcb sono analoghe a quelle del siderurgico, a quel punto si allungherebbe ulteriormente la lista delle parti offese (136 quelle citate nell’ordinanza del gip Patrizia Todisco). Infatti, i mitilicoltori potrebbero costituirsi parte civile e chiedere i danni al siderurgico. «Un eventuale riscontro positivo non cambierebbe i capi d’imputazione. L’ipotesi, infatti, rientrerebbe sempre nel reato di avvelenamento di sostanze alimentari».
La Gazzetta del Mezzogiorno – 26 agosto 2012