L’inchiesta. Vengono reclusi in strutture fatiscenti, maltrattati e dimenticati, a volte trasferiti clandestinamente in altri Paesi per finire nei laboratori della ricerca, oppure trasformati in cibo in scatola o pellicce. È il business del randagismo, l’affare dei canili, un traffico che si svolge con pochi controlli. È una storia dove s’intrecciano sperpero del denaro pubblico, malasanità, criminalità organizzata. Dove gli interessi in gioco sono più alti di quanto non si sappia e la legge viene sistematicamente ignorata. Alla fine il silenzio conviene a tutti. Sindaci, polizia, giudici, medici della Asl. Tutti complici, a volte senza neanche saperlo. È l’Italia dei canili, un paese degli orrori.
Quanti sono i cani randagi e quelli nei canili e quanto costa allo Stato mantenerli? In tasca di chi vanno i soldi? E quanti animali dietro finte adozioni finiscono all’estero in una tratta illecita? Il business del randagismo e dei canili viene valutato intorno ai 200 milioni, anche se l’ultimo rapporto “Zoomafia” stima il giro complessivo del traffico di cani 500 milioni di euro. Valutazioni realistiche stimano i cani vaganti 600 mila, di cui 200 mila ricoverati nei canili, per ogni cane rinchiuso il comune di appartenenza spende dai 300 ai 1000 euro l’anno. Una spesa significativa che però non mette gli animali al sicuro. Il canile non sempre è l’ultima tappa.
Il traffico e le finte adozioni L’ultima denuncia parla di un traffico di cani e gatti all’estero, esportazione illegale mascherata da finte adozioni. Gli animali finiscono nei laboratori della sperimentazione, come cibo in scatola per i loro simili più fortunati, per fornire pellicce. É la denuncia che arriva dal portale “ilrespiro.eu”, dove la giornalista Margherita D’Amico ha condotto un’inchiesta che dà corpo a dubbi e sospetti che da tempo si rincorrono. “Un processo che avrà inizio il 19 dicembre a Napoli sul traffico di cani e gatti da Ischia in Germania costringerà a non ignorare questa realtà agghiacciante”, dice D’Amico. “Spediti in carichi su furgoni, station wagon, oppure affidati ai cosiddetti “padrini di volo”, cani e gatti randagi provenienti dall’Italia, ma anche da Spagna, Grecia o Turchia, confluiscono ogni anno nei paesi del nord Europa, in Germania arrivano dai 250 ai 400 mila cani”.
Nell’inchiesta è citata la testimonianza di Enrica Boiocchi, vicepresidente del Gruppo Bairo, associazione molto attenta all’argomento: “Finché non vedi con i tuoi occhi non capisci. Partecipai al fermo di un carico al confine con la Svizzera: un trasportino per gatti di quelli piccoli, di stoffa, ne conteneva nove. I cani, come di prassi in queste spaventose spedizioni, erano sedati, imbambolati, nemmeno si tenevano seduti. Ogni giorno mezzi carichi di questi sventurati passano la frontiera svizzera, li vediamo, eppure non li ferma nessuno”. Stipati nelle gabbie all’interno dei veicoli, gli animali attraversano l’Italia e oltrepassano i controlli superficiali. Si tratterebbe un giro di denaro enorme.
“Sono finita in questa voragine a metà degli anni 90”, racconta al sito ambientalista Francarita Catelani, fondatrice di UNA-Uomo Natura Animali Cremona. “Dal napoletano ci segnalarono che la titolare di un’associazione tedesca stava partendo con un carico di cani. Furono prima fermati a Barberino del Mugello, ma la Asl li lasciò passare. Poi, a Como, lo stop. Il capo veterinario della Asl di Como capì. Redasse tre verbali e il giorno dopo il furgone fu scortato fino all’imbocco dell’autostrada per Caserta”. Ma la vicenda di Como non è l’unico caso di intervento delle forze dell’ordine. “Un paio d’anni fa ad Ancona sono stati bloccati 102 cani provenienti dalla Grecia. C’è stato un fermo ad Arezzo sei anni fa, e ancora a Padova. E a Verona, nel 1995, si aprì un’indagine per verificare nomi e indirizzi a cui erano stati dati in adozione 100 cani. Risultarono tutti falsi, dal primo all’ultimo”. Ci sono poi le denunce dell’Enpa, sezione di Perugia, contro 40 cani di un canile umbro adottati in Germania. C’è infine il caso di Ischia.
“Un piccolo gruppo di volontari di Ischia per anni si oppone alle massicce esportazioni organizzate dal canile di Forio. Solo nel 2006, a suon di denunce, gli animalisti riescono a ottenere il fermo di un furgone e l’avvio di un’indagine assai accurata da parte della Procura di Napoli condotta dal pm Maria Cristina Gargiulo, che si serve anche di intercettazioni telefoniche”, racconta D’Amico. La fase preliminare dell’inchiesta si conclude con il rinvio a giudizio di cinque imputati per maltrattamento di animali, falsità ideologica e materiale, associazione per delinquere finalizzata all’illecito traffico di esseri senzienti. “Nel frattempo, però, il rifugio di Forio è stato ceduto alla Pro Animale Fur Tiere in Not e. V. con sede in Germania che ha 32 punti di raccolta e smistamento di cani e gatti in tutta Europa. Le spedizioni di animali vengono ufficialmente interdette solo nell’estate 2011, in attesa degli esiti del processo che avrà inizio presso il Tribunale di Napoli fra poco più di un mese”.
Adozioni all’estero fittizie, sulle quali dovrebbero vigilare le Asl. “É attraverso i loro registri, infatti, che scorrono a centinaia, migliaia, le pratiche. Come non insospettirsi davanti alle stesse persone che richiedono venti, trenta, cinquanta lasciapassare per volta?”.
I canili, l’orrore dietro l’angolo. Ma qualsiasi mercato illecito è possibile perché i canili italiani vengono gestiti senza controlli. Se il traffico verso l’estero può essere il caso limite, c’è poi l’indifferenza di tutti che rende possibile il degrado quotidiano. “Feriti, affetti da patologie e infezioni, malnutriti, relegati in spazi angusti e sovraffollati, trascurati e soli: questo lo stato in cui versano i “migliori amici dell’uomo” in molte strutture, pubbliche e private”. Questo è scritto in un documento del Ministero della Salute che ha diffuso recentemente un video dei canili peggiori d’Italia, girato durante le ispezioni di 39 strutture da parte della task force per la tutela degli animali. Il filmato è visibile sul sito www.salute.gov.it. “I canili sono un sistema che serve a far soldi. La legge diceva che andavano creati dei rifugi e i canili dovevano rimanere solo come presidi sanitari e luoghi di transito. Così non è stato”, spiega Rosalba Matassa, a capo della squadra formata da nove veterinari e due amministrativi.
“Dove nasce il business? I comuni invece di creare canili municipali stipulano convenzioni con società private, spesso sono aste al ribasso, anche solo 50 centesimi al giorno per ogni cane. Fatto l’accordo, nessuno controlla. Il sindaco ha la tutela dei cani, quindi è il responsabile ma non risponde mai di fatto e noi non abbiamo il potere neanche di infliggergli una multa”. La mappa del degrado attraversa tutta l’Italia, al Sud la situazione è peggiore perché il business è in mano alla criminalità ma ogni regione ha i suoi scheletri, nel senso letterale. Solo nel 2011 sono stati fatti 6 sequestri. È stato chiuso il canile di Somma Lombardo dove tra i cani malnutriti c’era anche una gabbia con due tigri e altri animali esotici.
A Terni c’è stata un’ispezione dopo varie segnalazioni di maltrattamenti, una storia lunga e mai risolta, la Procura sta indagando. A Foligno segnalazioni per maltrattamenti. A Ceprano, Frosinone, il canile è sotto sequestro amministrativo. Chiuso Poggio Sannita: maltrattamenti. Aragona in Sicilia, una sorta di canile abusivo, senza legge e senza controlli, un caso di cui si parla da anni, solo ora si sta svuotando. Chiuso definitivamente ad aprile dopo anni di battaglie il lager per definizione, quello di Cicereale, in Campania, diventato un caso nazionale. Dentro duemila cani, per ciascuno la famiglia Capasso percepiva due euro al giorno. Ci sono stati anni di battaglie giudiziarie prima della chiusura. L’unico caso in cui il ministero si è costituito parte civile. Nei casi di sequestri la situazione che si presenta è sempre la stessa: cani scheletrici, malati, nessuna sterilizzazione, spesso promiscuità, a volte morti. Tra i reati più frequenti riscontrati, frode, medicinali scaduti, esercizio abusivo della professione medica.
Cacciatori e vacanzieri, ecco l’identikit di chi abbandona “il migliore amico”
Il trenta per cento degli abbandoni avvengono nel periodo della caccia, vittime i cani ritenuti non più abili. Il venticinque per cento d’estate, in concomitanza con le ferie. Da vent’anni esiste una legge, la 281, che vieta di sopprimerli e chiede di iscriverli a un’anagrafe canina e di dotarli di microchip, ma è largamente inapplicata
ROMA – Intorno al business dei canili, a volte, si svolge una vera e propria guerra. “Avevo denunciato lo condizioni di un canile, mi hanno tagliato le ruote dell’automobile”, dice una veterinaria che vive in Campania, “sono molte le strutture al Sud dove è difficile entrare e chi ci riesce per fare foto lo fa a proprio rischio”. Le denunce sullo stato dei canili arriva dai volontari e dalle associazioni che sui siti, Facebook, YouTube, svelano le condizioni in cui vivono gli animali, è un esercito agguerrito, che combatte ogni battaglia a proprie spese, cure veterinarie, stalli, staffette per salvare gli animali più giovani o più malandati. S’incontrano su siti come www.cercapadrone.it o chiliamacisegua.it, l’agenzia Geapress, ma il muro di silenzio che circonda le loro denunce è più forte. “C’è nella Finanziaria del 2008 un articolo che stabilisce che le convenzioni possono essere stipulate solo con quei canili che consentono un’apertura al pubblico e ai volontari ma non viene rispettata perché le adozioni significherebbero una perdita economica”, dicono le volontarie di Associzionecanililazio.
Ma perché ci sono tanti cani randagi e rinchiusi e che fine ha fatto la legge sul randagismo e le sterilizzazioni? L’esercito di cani che affolla i canili è infatti il risultato degli abbandoni e delle mancate sterilizzazioni. “Sono circa 135 mila i cani e i gatti che ogni anno vengono abbandonati, il 30 per cento degli abbandoni avviene durante il periodo della caccia, quando i cacciatori si liberano dei cani che non sono più abili, il 25 per cento avviene d’estate nel periodo delle ferie”, calcola la Lav. I privati abbandonano i propri cani in mezzo alla strada, legati ai lampioni, o davanti ai canili, i comuni dall’altra parte non realizzano le anagrafi canine e le campagne di sterilizzazione, i cani così vagano fino a quando non se ne occupano le cronache, succede quando aggrediscono qualcuno. Quando uccidono. Dal 2005 al 2008 il ministero ha stanziato circa 16 milioni di euro per combattere il randagismo. Ma molte Regioni non hanno nemmeno chiesto i fondi.
La legge tradita “Dal 1991 esiste una legge, la 281, è una legge avanzata, stabilisce che i randagi non vanno soppressi, che deve esistere un’anagrafe canina, ogni animale deve avere un microchip per l’identificazione. Ma pochi comuni rispettano queste regole. Sono molte le norme disattese perché i reati che riguardano gli animali sono considerati da tutti di serie B”, dice Rosalba Matassa. Disattese anche le ordinanze regionali. In Puglia, per esempio, esiste la norma per cui non ci possono essere più di 200 animali in ogni canile ma nessuno la rispetta. Il canile di Ostuni ne ha 1600, il Natura center di Cassano, ne ha 1400. Strutture che percepiscono somme ingenti. “Per combattere il degrado il randagismo è stato incluso nei piani di rientro di alcune regioni commissariate (Calabria, Molise, Campania) e quindi devono obbligatoriamente fare interventi, la gestione corretta dell’anagrafe canina adesso rientra nei Lea, livelli essenziali di assistenza”.
Intanto il tempo passa, è un tempo sempre uguale quello nei canili, che siano quelli inaccessibili dell’Irpinia o quelli senza fondi da anni di Catania, il tempo scorre monotono tra le reti arrugginite, alcuni cani è possibile vederli girare in tondo, ossessivamente su se stessi. É così a Borgo Hermada, Latina, canile sequestrato e sempre lì come in quello di Domicella, Avellino, andava messo a norma, aveva 60 giorni di tempo, sono passati mesi.
LA STORIA. Finte adozioni da Ischia alla Germania Così decine di cani sparivano nel nulla
A dicembre il via al processo contro i gestori del canile di Panza, sull’isola campana, accusati di avere ideato un sistema di finti affidamenti di animali destinati invece alla sperimentazione
Avevano escogitato un metodo tanto efficace quanto terribile. Un finto sistema di adozioni attraverso cui decine di cani randagi venivano spediti da Ischia fino in Germania, la destinazione però non era un nuovo padrone ma un altro canile dove venivano sottoposti a sperimentazioni. Il sito web ilrespiro.eu racconta dell’accusa dei Pm napoletani ai danni degli ex responsabili del canile di Panza, sull’isola di Ischia, a processo dal prossimo 19 dicembre per maltrattamento di animali, falso ideologico e materiale e associazione per delinquere.
Il sistema era semplice. Secondo ilrespiro.eu nei moduli di richiesta delle adozioni venivano fatti firmare in bianco ai richiedenti più fogli di quanti ne fossero necessari. Firme utilizzate invece per compilare multiple, e false, richieste di affidamento che autorizzavano la partenza di decine di cani dal canile dell’isola. Una piccola percentuale dei quattrozampe finiva realmente nelle case di nuovi padroni, i restanti erano invece destinati a canili tedeschi.
Ad insospettire gli abitanti dell’isola, erano stati proprio i furgoni in partenza dal porto con all’interno decine di gabbie. Dubbi che avevano trovato un primo riscontro dalle indagini dei pm, che durante un controllo nel 2006 avevano scoperto che gran parte delle firme che accompavano le richieste di adozioni erano in realtà contraffatte.
I bonifici esteri. I cani venivano destinati a prestanome, cittadini tedeschi residenti in Italia, e poi inviati in aereo verso destinazioni sconosciute. Nelle successive indagini della procura, il sistema criminale aveva trovato nuovi riscontri, tra cui una serie di bonifici internazioni, dell’ordine di 10mila euro, ricevuti con cadenza regolare dalla fondazione che aveva in gestione il canile e che avevano fatto pensare che le somme potessero provenire dai reali destinatari degli animali.
Oggi, ad essere rinviati a giudizio sono Ciro Pontone e la moglie Karin Mundt, che si occupavano di organizzare e gestire le adozioni verso la Germania, e Else Scheurlein e Jutta Heinemann, ex direttori del canile.
Repubblica.it – 3 novembre 2011