Pascoli inceneriti, animali ustionati e recinzioni da rifare per chilometri, dalla Sardegna alla Sicilia. E poi l’economia locale affossata, con uliveti secolari scomparsi: le difficoltà di chi lavora i terreni assediati dal fuoco
Il Fatto quotidiano. “Sembrava che il fuoco si muovesse con un lanciafiamme. L’ho visto con i miei occhi saltare da una montagna all’altra”. Melchiorre Angelica è da anni proprietario di azienda agricola che produce in prevalenza olio. Su 65 ettari di terreno, 40 sono ad uliveto: “Ancora dobbiamo contare i danni. Se non ci sono state perdite umane è stato solo grazie ai soccorsi”. Vive a Calaforno, nel Ragusano, in Sicilia. Uno dei tanti territori avvolti e inceneriti dagli incendi che negli ultimi giorni hanno colpito il Meridione come mai prima. Secondo i dati Effis – European Forest Fire Information System della Commissione europea, in Italia – dall’inizio dell’anno al 9 agosto – sono bruciati 102.933 ettari di terreno, un’area grande quanto 140mila campi da calcio. Si tratta del quadruplo rispetto ai 28.479 ettari arsi, in media, ogni anno dal 2008 al 2020. Finora nella Penisola sono scoppiati 393 incendi di grandi dimensioni (oltre i 30 ettari), contro una media di 224 nel periodo 2008-2020. Sicilia, Calabria e Sardegna sono le aree più colpite. Gli allevatori e gli agricoltori di questi territori hanno subito perdite incalcolabili fra pascoli bruciati e animali uccisi. Alcuni sono stati salvati a stento. L’agricoltura accusa colpi che a loro volta abbattono l’economia locale. E il punto di partenza già non era buono: secondo Coldiretti produzioni nazionali hanno subito tagli che vanno dal 5 al 10% per le previsioni di vendemmia e al 10% per il grano, mentre è quasi dimezzata la frutta nazionale con cali del 30% per le ciliegie, del 40% per le pesche e nettarine fino al 50% per le albicocche, rispetto ad una annata normale. La causa, ormai evidente a tutti, è la crisi climatica. Sempre secondo Coldiretti, gestire gli incendi costa circa 10mila euro all’ettaro.
SICILIA – In un colpo, 20mila euro di danni. Le recinzioni sono andate in fiamme. I tubi dell’acqua si sono fusi, perché in plastica. C’è da ricostruire tutto. Marilina Barreca è di Geraci Siculo, in provincia di Palermo. Ha un allevamento di ovini da latte con annesso caseificio a Gangi, non lontano: è stato travolto dagli incendi che stanno colpendo l’isola insieme ad altre regioni italiane ormai da giorni. Lo stesso è accaduto per l’allevamento di bovini da carne della sorella. Fra i due circa 85 ettari di terreno, in gran parte mangiati dalle fiamme: “Qui è iniziato tutto il 4 agosto. Il fuoco è partito dalle basi del paese e poi si è diffuso per via di un vento fortissimo. La mia fortuna sono stati i miei dipendenti, che sono intervenuti mentre non c’ero e hanno salvato alcuni degli animali”, spiega. “Il corpo dell’azienda è rimasto intatto, ma l’altra notte siamo rimasti svegli fino all’alba perché le fiamme stavano per raggiungerlo: lì ci sono circa 3mila balloni di fieno, immaginiamo cosa sarebbe potuto succedere”. In poco tempo sono partite le iniziative di solidarietà – anche grazie a Coldiretti – che hanno portato agli allevatori il necessario per nutrire il bestiame sopravvissuto. Con i pascoli inceneriti, infatti, sono andate perse anche quantità di foraggio e di fieno. “Ora dobbiamo recuperare i paletti e le reti per le recinzioni, andati bruciati per chilometri e chilometri”. “Io non ho mai visto niente del genere”, racconta Barreca. “Non abbiamo più un ettaro di terreno dove ci sia vegetazione. Dovunque mi giro vedo nero“.
SARDEGNA – A Tresnuraghes, nella sub-regione sarda della Planargia, Lucia Soggiu ha visto morire circa una decina di ovini e un cavallo nelle sue due aziende: circa 60 ettari di terreno andati a fuoco. Si sta occupando soprattutto di rim
ettere in sesto gli animali ancora vivi: “Venti agnelli sono feriti e intossicati: li abbiamo messi prima di tutto sotto flebo per disintossicarli, ora stiamo applicando unguenti e creme per trattare le ustioni. Stanno rispondendo bene”. Anche lei, come Barreca, accusa il problema delle recinzioni: “Andate distrutte anche perché in gran parte sorrette dalla vegetazione. Nessuno in famiglia si ricorda delle fiamme così. Sono arrivate quasi alle porte delle case”. In molte aree coinvolte dal fuoco la perdita degli uliveti provocherà una perdita altrettanto grave di lavoro. Un esempio è Cuglieri, comune sardo in provincia di Oristano: “Solo nella nostra cittadina sono 200 gli addetti a questo settore, tra potatori e responsabili di frantoi, che ora si ritrovano senza un impiego. È il cuore economico del nostro paese“, spiega Nicola Mette, a capo di un’azienda zootencnica e olivicola. “Gli alberi sono inceneriti. Io ne avevo circa 400, secolari: il 70% è distrutto”. E ancora non è finita: “Il tronco dentro è cavo. Alcune piante stanno andando avanti a bruciare”. È questa l’emergenza più pesante nell’area, spiega Mette: “I pascoli sono recuperabili. Se piove presto, la vegetazione può ricrescere e si può ripartire. Ma gli ulivi, quelli no. Piante secolari non ne avremo più”. C’è il problema dell’approvvigionamento idrico: “Perché in molti terreni con alberi così antichi non c’era acqua. Bisognerà lavorare su questo aspetto e poi piantare nuove piante. Un processo complicato e lunghissimo”. Se sul fronte pascolo sono riusciti a riparare il danno grazie alla solidarietà ricevuta da altri agricoltori e da numerose associazioni, l’olivicoltura resta una ferita aperta: “Riuscivamo a produrre circa 2500 litri di olio all’anno, quest’anno almeno 1800 sono andati persi. Direi un danno di 20mila euro”. Che avrà un’onda lunga: “L’annata del 2022 è compromessa, così come gran parte di quella del 2023”. Le fiamme, prima o poi, finiranno. Per ricostruire ciò che hanno bruciato servirà molto tempo.