Fino ad oggi ad essere certificata era solo l’uva, ma non il vino, che dovrà contenere meno solfiti ed evitare alcune particolari lavorazioni. Un riconoscimento atteso da 21 anni per un prodotto che rappresenta ormai il 7% dei vigneti italiani
ROMA – Dall’uva bio al vino bio. La prossima vendemmia sarà la prima a portare sugli scaffali di supermercati ed enoteche bottiglie certificate come biologiche non solo per l’utilizzo di vitigni coltivati “senza chimica” (alcune sostanze, come il verderame, sono in realtà tollerate), ma anche per il rispetto di una particolare lavorazione e trasformazione in cantina.
La novità è il risultato dell’entrata in vigore, dallo scorso primo agosto, del nuovo regolamento comunitario sul vino biologico. Una conquista attesa da oltre 20 anni dai viticoltori biologici e raggiunta solo al costo di estenuanti trattative e di un testo finale frutto di un faticoso compromesso. Il punto centrale della normativa riguarda i nuovi tetti nell’utilizzo dei solfiti, fissati a 100 milligrammi per litro nei rossi e a 150 nei bianchi e nei rosé.
In regolamento Ue stabilisce poi il divieto per una serie di pratiche usate solitamente nel lavoro in cantina, quali la concentrazione parziale a freddo, la desolforazione dei mosti, l’elettrodialisi, la dealcolazione parziale, il trattamento del vino con scambiatori cationici. Altre pratiche sono limitate: il trattamento termico non può superare i 70°C e la filtrazione non può essere condotta con fori di diametro inferiore agli 0,2 micron (ciò significa sì alla microfiltrazione, ma no alla ultra e nano filtrazione).
Per quanto riguarda gli ingredienti e i coadiuvanti di processo, vengono ammessi quasi tutti quelli di origine
naturale (vegetale, animale e microbiologica, inclusi lieviti e batteri), con la raccomandazione di preferire l’origine biologica quando disponibile e vengono limitati quelli di sintesi.
Per i lieviti enologici è obbligatorio l’uso di quelli bio solo se sono della tipologia/ceppo adeguato alla vinificazione che si può condurre. Negli altri casi si può ricorrere a lieviti selezionati convenzionali, purché non Ogm, oppure ovviamente alla fermentazione spontanea o con i propri lieviti (anche purificati e liofilizzati). Nel suo insieme un produttore bio può utilizzare 44 tra additivi e coadiuvanti, mentre il suo collega convenzionale ne ha a disposizione quasi 70.
“Si poteva essere più ambiziosi, ma anche se si è trattato di un compromesso siamo decisamente soddisfatti – commenta la vicepresidente dell’Associazione italiana per l’agricoltura biologica Cristina Micheloni – l’importante era scongiurare ulteriori rinvii perché a fronte di un crescente interesse da parte dei consumatori, i nostri concorrenti extra europei si sono già dotati di apposite certificazioni”.
“In Italia – ricorda ancora Micheloni – i vitigni biologici interessano una sperificie di 52mila ettari, pari a circa il 7% del totale. Per questi produttori il nuovo regolamento Ue è una grossa opportunità visto la rischiesta di vino bio che arriva dal Nord Europa, Regno Unito e Danimarca in testa”.
Una bottiglia biologica, garantisce la vicepresidente dell’Aiab, non deve costare necessariamente più di un vino tradizionale di qualità. “In alcune regioni come la Sicilia e la Toscana – spiega – i costi di produzione sono simili, anche se poi molto cambia da annata ad annata”.
Saluta con soddisfazione l’introduzione del nuovo regolamento europeo anche Enzo Vizzari, responsabile della Guida dei vini dell’Espresso 1. “Gli enologi – spiega – sono un po’ perplessi, ma io credo sia un buon passo avanti. Non sarà una garanzia totale o la panacea in grado di eliminare gli abusi, ma ben venga questa novità in un settore che tira molto e di cui molti amano parlare, ma che oggi è un far west proprio per l’assenza di regole più stringenti”.
(22 agosto 2012) – Repubblica