Nei boschi del Trentino pare di essere tornati a 200 anni fa, quando i cacciatori cominciarono la lunga battaglia contro gli orsi, per incassare la taglia fissata dal governatore del Regno Lombardo Veneto, Pietro conte di Goess, per l’abbattimento di ogni esemplare: 40 fiorini le femmine, 30 i maschi, 10 per i cuccioli. Era il 1818 e nei boschi c’erano tanti esemplari che lasciare un bambino incustodito ai margini dei pascoli poteva essere un grosso rischio. Ora non ci sono premi in denaro, gli orsi sono una cinquantina e la firma sull’ordinanza è quella del governatore della Provincia di Trento Ugo Rossi che dice chiaro e tondo: «Gli orsi sul nostro territorio sono troppi». Intanto i fucili invece che a pallettoni sono caricati con il sonnifero, ma in caso di emergenza è possibile anche arrivare all’abbattimento dell’esemplare che sabato sera, a pochi chilometri da Trento, ha mandato all’ospedale Angelo Metlicovec, 69 anni, con ferite alle gambe e a un braccio. Rivolta delle associazioni ambientaliste: per la Lav è un «abominio», mentre l’Enpa parla di ordinanza «ergastolo».
«Sono due anni che le squadre di forestali stanno cercando di catturare l’orsa Kj2, protagonista di un altro attacco nel 2015» ha riferito ieri in consiglio provinciale l’assessore Michele Dallapiccola, piuttosto imbarazzato, rispondendo ai consiglieri dell’opposizione che hanno portato in aula la rabbia della gente che vive in montagna. Intanto la caccia riparte. È lei — Kj2 — la principale sospettata dell’attacco dell’altra sera, anche se la conferma potrà arrivare solo dagli esami del dna.
La situazione è di codice rosso, il grado di allarme più alto previsto dal ministero dell’Ambiente nel caso di un orso che attacca senza essere provocato. Esattamente quello che è accaduto l’altro giorno, con l’orso che avrebbe sorpreso l’uomo alle spalle, durante una passeggiata.
I forestali hanno ricevuto l’ordine di non parlare con la stampa: «Al primo errore finiamo tutti sotto accusa» raccontano gli uomini che si preparano a battere i boschi palmo a palmo, soprattutto di notte, quando è molto più probabile venire a contatto con i plantigradi. «Vedere questi animali non è facile, figuriamoci avvicinarli» raccontano. «Parliamo di bestie che riescono a percorrere anche una ventina di chilometri al giorno, da una valle all’altra». Ma loro — i forestali — conoscono i loro punti deboli (sono golosi) e i percorsi che gli orsi seguono abitualmente, seguendo mappe che devono essere impresse nel codice genetico perché sono le stesse che hanno seguito i loro antenati a quattro zampe.
Le sette squadre sono composte da almeno quattro persone: un veterinario, un uomo con il fucile lancia siringhe, un uomo con un fucile tradizionale (che garantisce la sicurezza a tutta la squadra) e un forestale con un cane di razza Laika. La Provincia di Trento ha scelto questa razza di origine artica, taglia media e grande coraggio, cani che fanno marcia indietro nemmeno di fronte a un orso di 150 chili. Ma la speranza è che l’orso entri in una trappola tubo (attirato da esche alimentari) oppure che rimanga intrappolato in un laccio. Se questo non dovesse avvenire i forestali dovranno tentare un approccio a “tu per tu”: «Per sparare i proiettili narcotizzanti bisogna essere a poche decine di metri. In realtà il problema non è avvicinarsi, ma quello che succede dopo». Il sonnifero infatti impiega un quarto d’ora a fare effetto completamente: immaginate quindici minuti nel bosco, magari in una notte nera di luna nuova, a correre dietro a un orso in fuga o (peggio) che ti si rivolta contro.
Gli chiedi: avete paura dell’orso? Risposta: «La paura è quella di fargli male». È già successo nel 2008, nel 2012 e nel 2014, quando tre orsi morirono per l’anestesia durante altrettanti tentativi di cattura: il primo annegò nel lago di Molveno, il secondo si accasciò a terra dopo puntura, il terzo caso è quello dell’orsa Daniza (anche lei protagonista di un attacco all’uomo, in difesa dei suoi cuccioli) che suscitò le proteste di ambientalisti giunti in Trentino da tutta Italia.
Dagli archivi storici spuntano storie come quella del cacciatore Domenico Ramponi che nell’Ottocento, in val di Sole, uccise 49 orsi nell’arco di vent’anni. Altri tempi. I forestali ora provano a spiegare che in Trentino gli orsi sono stati importati dalla Slovenia alla fine degli anni Novanta, quasi un “risarcimento ambientale” per l’antica battaglia che sterminò questi animali. Destino amaro: «Invece di passare alla storia come quelli che hanno riportato cinquanta orsi sulle Alpi, qui facciamo notizia perché ne catturiamo uno».
Repubblica – 25 luglio 2017