La produzione agricola e l’allevamento della Pianura padana sono a rischio di inquinamento da Pfas, i “contaminanti eterni”? Se lo chiede Greenpeace in un lungo rapporto pubblicato. La ong ricostruisce la storia di quanto accaduto nel nostro Paese a partire dall’allarme lanciato per la prima volta nel 2007 da Michael McLachlan, professore di Chimica dei contaminanti all’Università di Stoccolma. Dati inequivocabili, raccolti nel corso di uno studio annuale condotto sui principali fiumi europei: il Po risultava più inquinato dalle sostanze di Senna, Tamigi e Danubio. Concentrazioni fino a 200 nanogrammi per litro di Pfoa (acido perfluoroottanoico, uno dei Pfas monitorati e oggi noto per essere un potenziale cancerogeno per le persone) contro una media europea di 30. Abbastanza per spingere McLachlan a prendere contatti con il ministero dell’Ambiente e l’Istituto superiore di Sanità. Anche perché le acque del Po venivano – e vengono tuttora – usate per l’irrigazione dei campi della Pianura padana, la più grande d’Italia, fondamentale per l’approvvigionamento alimentare nazionale, ma anche per l’export.
“A quindici anni di distanza non c’è ancora un quadro affidabile sulla situazione degli alimenti di origine vegetale e animale in Italia – spiega a Wired Giuseppe Ungherese, responsabile delle campagne inquinamento della sezione italiana di Greenpeace – Chiediamo: latte, uova e verdura sono sicuri o no? Non lo sappiamo con certezza assoluta, anche perché i dati ci sono stati negati e quando li abbiamo ottenuti abbiamo dovuto ricorrere alle carte bollate”.
Scoperti ottant’anni fa dalla multinazionale DuPont, che ha concesso il brevetto in uso a molte altre aziende nel mondo, i Pfas sono impiegati in tanti prodotti di uso comune e non: dalle padelle antiaderenti agli stent coronarici fino alle tute ignifughe dei vigili del fuoco per le proprietà di resistenza termica e l’impermeabilità ad acqua e grassi.
Il problema è che resistono ai normali processi di smaltimento. Senza metodiche particolari, spiega la ong, le sostanze sono in grado di superare i depuratori e finiscono direttamente nelle falde, nei campi, nell’aria e quindi nella catena alimentare. Se ne può fare a meno? Oggi, sottolineano gli ambientalisti, esistono alternative.
Perché non si è controllato il cibo
Secondo la ricostruzione di Greenpeace, i passi di governo, Istituto superiore di sanità ed enti locali (dalle Regioni alle Autorità di protezione ambientale fino agli Istituti zooprofilattici), sono stati lenti e confusi. E una valutazione puntuale ed esaustiva del rischio in Pianura padana ancora non c’è, nonostante già nel 2010 l’Europa abbia pubblicato una raccomandazione che all’articolo 1 chiede testualmente “agli Stati membri di monitorare nel corso del 2010 e 2011 la presenza di sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti. Il controllo dovrebbe comprendere un’ampia varietà di prodotti alimentari che tenga conto delle abitudini di consumo anche di alimenti di origine animale come i pesci, la carne, le uova, il latte e i prodotti derivati, nonché di alimenti di origine vegetale, al fine di consentire una stima esatta dell’esposizione”.
Come molte altre questioni in un’epoca di rinnovata consapevolezza ecologica, il tema dei Pfas non è facile da affrontare politicamente. L’impiego su vasta scala in prodotti di uso comune e il fatto che la contaminazione sia diffusa ovunque nel mondo, seppur con gradazioni diverse che arrivano fino alla tossicità conclamata, rende molto difficile muoversi. E anche all’interno della comunità scientifica non manca chi teme le conseguenze di un uso troppo mediatico dei dati: un allarmismo dalle conseguenze potenzialmente devastanti sotto il profilo economico.
Il Veneto, la terra più inquinata del mondo
Negli Stati Uniti l’amministrazione guidata dal presidente Joe Biden per prima ha proposto uno standard per i Pfas nell’acqua potabile. In Unione europea Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svezia stanno chiedendo di vietare la produzione. E l’Italia?
Vanta un triste primato: un’area di duecento chilometri quadrati nel Vicentino, abitata da trecentocinquantamila persone e che risulta essere la più inquinata del mondo da questa classe di sostanze, definite una “bomba a orologeria” perché studi approfonditi sugli effetti a lungo termine ancora non ne esistono. Secondo la Procura della Repubblica, la responsabilità sarebbe della ditta (oggi fallita) Miteni di Trissino. Un processo è in corso.
“Miteni – scrive Greenpeace – produceva questo tipo di sostanze sin dagli anni Sessanta e, come è emerso nel corso delle indagini, per anni avrebbe scaricato nell’ambiente senza particolari precauzioni gli scarti di lavorazione industriale. Il corso d’acqua più contaminato è l’Agno-Guà, già impattato dagli scarichi dalle numerose concerie della zona che utilizzavano Pfas in alcune lavorazioni”. Ma, proprio in Veneto, secondo Ungherese, sono stati compiuti errori metodologici e campionamenti errati, nonostante appaia ormai certo che concentrazioni di Pfas altissime siano presenti nel fegato, nei muscoli, nelle uova degli animali cresciuti nella zona.
“Pensavamo di aiutare i nostri figli crescendoli con un’alimentazione a chilometro zero, è finita che abbiamo fatto peggio”, racconta a Wired Manuela Zamboni, coordinatrice delle Mamme Anti Pfas, un movimento di famiglie che sta cercando di far luce sulla vicenda dal 2017. “Abbiamo portato in piazza diecimila persone. Ci hanno aiutato medici, alcuni professori universitari, qualche ricercatore. Le istituzioni? No. Tanto che nonostante gli allarmi, per anni abbiamo continuato a bere acqua inquinata – denuncia Zamboni -. Per noi è praticamente un secondo lavoro. Il nucleo è composto da una decina di persone, c’è un secondo livello che arriva a cinquanta, ci sentiamo su gruppi Whatsapp e Facebook“. L’attivismo contro gli Pfas, in quello che è diventato un territorio simbolo, ha pagato. Oggi di queste sostanze si comincia a parlare. Più forte delle altre, si è levata anche la voce di un prete: il presule di Vicenza Giuliano Brugnotto. Ma, come mostra questa mappa di Wired basata sui dati di Le Monde, tutto il Paese è coinvolto. C’è gran parte del nord, ci sono anche la Toscana, la Basilicata, la Sicilia e la Sardegna.
fonte: Wired