A Milano si bigia, a Roma si fa sega e a Napoli si fa filone. Ma la sostanza è la stessa: saltare la giornata di scuola, o solo qualche ora, per dribblare un’interrogazione o approfittare di una giornata di sole. Soprattutto al Sud. E nonostante la norma introdotta anni fa dall’allora ministra Gelmini sul numero massimo di assenze per essere promossi — non si può saltare più di una lezione su 4 — i numeri sono in aumento.
Un quadro del fenomeno emerge dai Rav, i rapporti di autovalutazione delle scuole, che conteggiano il numero medio di ore saltate per indirizzo scolastico, per classe e per Regione. L’ultimo dato (2014/2015) dice che, in media, gli studenti italiani “sacrificano” un giorno di scuola su dieci. Una percentuale in crescita rispetto all’anno precedente in tutti gli indirizzi, dal classico al professionale, dove i numeri si fanno preoccupanti.
In media, sono circa 73 le ore di lezione perse ogni anno dai liceali del classico (quasi 8 giorni su cento), con la Sicilia a quota 96 che doppia buona parte delle Regioni del Nord. Così allo scientifico: a contendersi il primato sono Sicilia e Campania, entrambe oltre le 100 ore di assenza (contro le 43 del Veneto, le 51 del Friuli, le 52 della Lombardia). Negli istituti tecnici, le giornate passate lontano da scuola aumentano: una su otto. E negli istituti professionali si arriva quasi a una ogni sei.
I motivi? Per Benedetto Vertecchi, decano dei pedagogisti italiani, «le assenze strategiche sono un comportamento tradizionale di chi tiene ancora alla scuola e al giudizio degli insegnanti. Mi pare però che l’aumento delle ore saltate sia dovuto ad un atteggiamento consumista dei ragazzi e poco attento dei genitori. La frequenza è noiosa, perciò si marinano le lezioni». Anche se, conclude, «le responsabilità maggiori non sono della scuola». Le ore di lezione in fumo crescono dalle prime alle ultime classi. E diventano davvero molte, anche in proporzione al monte ore annuo, nei tecnici, nei professionali e al Sud, dove il loro aumento è inversamente proporzionale ai risultati dei test Invalsi. «Farei anche attenzione — osserva Paolo Mazzoli, direttore generale dell’Invalsi — agli ingressi alla seconda ora, che mi sembrano un brutto segnale. L’andamento delle assenze lungo lo Stivale mi conforta rispetto ai risultati dei nostri test, perché per risolverli bene non occorre un addestramento ad hoc: è la frequenza assidua a favorire la solidità delle competenze».
Quella di chi si assenta non sarebbe però solo pigrizia. Francesca Vella, preside del classico Meli di Palermo, propone un’altra spiegazione: «Una parte delle assenze può esser dovuta alla diffusione crescente delle interrogazioni programmate: i ragazzi si assentano per stare a casa a prepararsi».
Ma c’è chi riesce a tenerli comunque in classe. Il segreto? Insistere sulla «lotta alla dispersione scolastica e al disagio giovanile. Agevolata, quest’anno, dall’organico di potenziamento previsto dalla Buona scuola», spiega Bruno Belletti, preside dell’istituto superiore Argentia di Gorgonzola, nel Milanese. E non solo: «Credo che la tecnologia — penso al registro elettronico — sia un ottimo deterrente per alcuni studenti, perché le famiglie vengono informate in tempo reale. Delle assenze e non solo».
Repubblica – 7 febbraio 2017