A settembre ci sono 45mila occupati in più; c’è una piccola ripresa del lavoro indipendente (partite Iva e collaboratori), soprattutto giovani. Il tasso di disoccupazione è salito all’11,7% (il numero dei senza lavoro cresce di 60mila unità sul mese); ma si assiste a una robusta frenata degli inattivi (tra cui molti “scoraggiati”), -127mila unità, ed è probabile che una fetta di queste persone (specie donne e uomini di età tra i 30 e i 50 anni) si siano rimessi in cerca di un impiego per rimpinguare il bilancio familiare eroso dalla crisi.
Il tasso di disoccupazione giovanile diminuisce leggermente (-1,2 punti nel confronto congiunturale), restando tuttavia al 37,1%, un valore elevatissimo: peggio dell’Italia fanno solo Spagna (42,6%) e Grecia (42,7% ma il dato è fermo al mese di luglio). Siamo molto distanti dai primi della classe, cioè la Germania, che ha un tasso di disoccupazione tra gli under25 stabile al 6,8%.
La fotografia scattata ieri da Istat (ed Eurostat, a livello internazionale) conferma un mercato del lavoro italiano con luci e ombre: allargando lo sguardo sull’anno, gli occupati crescono di 265mila unità (+1,2%), e si tratta quasi esclusivamente di lavoratori dipendenti (i contratti permanenti, vale a dire, a tempo indeterminato, sono 264mila), a testimonianza di un effetto positivo degli sgravi contributivi e del Jobs act (che hanno dato una fiammata creando uno “scalino” di assunzioni piuttosto consistente). Il tasso di occupazione risale al 57,5% (i livelli di giugno 2009), e tra le donne si raggiunge il 48,2% (un dato, certo, basso, ma in ripresa). C’è una maggiore offerta di lavoro: in un anno il numero di inattivi è sceso di 508mila unità (-3,6%); e il relativo tasso si è attestato al 34,8%, la percentuale più bassa dal 1977 (anno di inizio delle serie Istat).
Il punto però è che la maggiore partecipazione al mercato del lavoro sta, per ora, principalmente, gonfiando il bacino dei disoccupati, che, a settembre, è tornato sopra i 3 milioni di persone (3.016.000, per la precisione). A essere in sofferenza è soprattutto la fascia d’età mediana della popolazione (30-50 anni), quella maggiormente legata alle crisi aziendali (c’è, infatti, una fetta ampia dell’industria che è ancora in difficoltà e alle prese con complicati processi di ristrutturazione e di riconversione). Il tasso di disoccupazione complessivo, poi, salito all’11,7% è superiore a quello registrato nell’Area euro (10%, peraltro stabile rispetto ad agosto); e siamo al quint’ultimo posto della classifica, dietro a Cipro (12%), Croazia (12,6%) Spagna (19,3%) e Grecia (23,2%, dato di luglio). In cima alla lista (e parecchio lontani da noi) Repubblica Ceca (4%) e Germania (4,1%).
Il governo vede il bicchiere mezzo pieno: dall’insediamento dell’esecutivo (febbraio 2014) a oggi «ci sono 656mila posti di lavoro in più, il 75% a tempo indeterminato. Grazie Jobs Act», ha commentato il premier, Matteo Renzi. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro Giuliano Poletti, che ha parlato di «quadro complessivamente positivo, con sempre più persone che cercano un impiego»; e parole d’incoraggiamento sono arrivate anche dal responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, che ha sottolineato come ora ci sia «la necessità di accompagnare e consolidare questa dinamica di ripresa del mercato del lavoro con il sostegno degli investimenti, il vero tratto distintivo della legge di Bilancio appena presentata alla Camera».
Opposizioni e sindacati restano però critici: «Il mondo del lavoro è ancora molto lontano dalla ripresa», hanno sottolineato dall’M5S; e anche Renata Polverini (Fi) ha detto «di non vedere dati positivi».
Il nodo è «la disoccupazione che rimane molto alta», ha sintetizzato la numero uno della Cgil, Susanna Camusso; e il ritorno alla crescita del lavoro autonomo «va monitorato», hanno aggiunto Gigi Petteni (Cisl) e Guglielmo Loy (Uil), affinchè dietro il numero (+56mila indipendenti sul mese) non si nasconda un ritorno all’abuso delle partite Iva e collaborazioni. Finora «è avvenuto il contrario – ha risposto Marco Leonardi, consigliere economico di palazzo Chigi -. Nel 2015 e nei primi mesi del 2016 si sono registrate più chiusure di partite Iva e una maggiore denuncia di contributi da lavoro dipendente, a dimostrazione del travaso dal lavoro autonomo fasullo verso i contratti stabili». Del resto, l’aumento degli indipendenti «sembra interessare soprattutto i giovani – spiega l’economista del Lavoro, Carlo Dell’Aringa -. E ciò mostra una certa intraprendenza. Peraltro l’occupazione permanente tiene. Bisognerà ora difendere i posti in più creati. Il nuovo incentivo a chi assume studenti dopo aver svolto un periodo di alternanza aiuterà nel tempo, specie se vedrà la partecipazione anche di licei e università finora troppo distanti dalla formazione “on the job” e dal mercato del lavoro».
Claudio Tucci – IL Sole 24 Ore – 4 novembre 2016