Il prossimo autunno prepariamoci a ballare la samba. Si sommeranno i pazienti contagiati dal Covid con quelli che prenderanno l’influenza. Saremo sotto pressione noi medici di famiglia, saranno sotto pressione anche i pronto soccorso».
Pier Luigi Bartoletti, medico di base romano, è vice segretario nazionale di Fimmg, la Federazione italiana dei medici di medicina generale. Durante la pandemia è stato in prima linea nel contrasto del Covid, visto che era coordinatore regionale delle Uscar, le squadre di medici che, in collaborazione con lo Spallanzani, andavano anche nelle case dei pazienti Covid. Ha sempre spiegato: «Era un esempio di sanità territoriale che funzionava, forse quell’esperienza andava salvaguardata». Anche l’anno scorso, di questi tempi, c’era preoccupazione per la doppia ondata prevista per i mesi successivi: Covid e influenza. Con una differenza: allora l’isolamento dei contagiati dal coronavirus ne rallentava la diffusione. Oggi non è più così.
“Faccio una premessa: è stato giustissimo eliminare l’obbligo di isolamento, non si può vivere in perenne emergenza. Detto questo, bisogna avere ben chiaro che comunque il virus non è sparito, i malati di Covid ci sono ancora, vediamo ancora le polmoniti interstiziali, per questo è importante individuare con velocità la malattia in modo da decidere la diagnosi».
Come farete nei mesi autunnali e invernali? Sarà molto dura. Tenga conto che già oggi nel mio studio almeno un paio di casi di Covid al giorno li intercetto. Ma quando saremo in piena stagione influenzale, dovremo fare tempestivamente i tamponi per capire se è influenza o Covid: per quest’ultimo abbiamo delle terapie specifiche come gli antivirali, da somministrare ai soggetti più fragili, ma per farlo devo capire se il paziente ha la febbre perché è influenzato, o perché è stato contagiato dal coronavirus. E il paziente dovrà pagarsi il tampone, visto che non è previsto gratuitamente. Però me lo lasci ripetere: non bisogna drammatizzare, con il Covid possiamo convivere, dobbiamo solo essere pronti a sostenere l’impatto dei malati».
Secondo lei oggi c’è un servizio sanitario migliore che ha imparato la lezione della pandemia? La mia impressione è che la sanità post Covid sia più o meno la stessa di quella pre Covid. Ad esempio, sulla sanità di territorio non si vede quella spinta, quel cambiamento, che tutti auspicavamo».
“Per quanto riguarda la rete dei medici di base la preoccupazione che molti hanno è legata a un suo progressivo indebolimento. Anche dal punto di vista numerico, perché il ricambio di chi va in pensione va a rilento. Lo sa bene chi deve trovare un nuovo medico di famiglia e spesso si accorge che non è così semplice. Il problema esiste. Parlo dell’esperienza della mia città, Roma. Affrontiamo una evidente insufficienza dei medici di base, come avviene ovunque. Devo dare atto alla Regione Lazio di avere accelerato e avere individuato quelle che si chiamano “aree di carenza”. Sono 500, si prevede che a causa dei pensionamenti in quelle zona presto non ci saranno medici di base. Il nodo però è che sono in pochi coloro che si presentano per fare questa professione, coloro che entrano sono meno di coloro che vanno via. Bisogna rendere la professione del medico di base più attrattiva. Non so quanto l’idea di utilizzarci anche nelle case di comunità vada realmente in questa direzione».
Il Messaggero