venezia È probabilmente la riforma più importante di questo primo scorcio di legislatura dopo quella della sanità, ma il suo esordio a Palazzo Ferro Fini è stato inevitabilmente oscurato dall’annuncio del governatore Luca Zaia sullo stop all’addizionale Irpef per la Pedemontana. Stiamo parlando della legge contro il consumo del suolo, di cui ieri è iniziata la discussione in consiglio regionale: un confronto che si annuncia complicato se si pensa che sono stati presentati 245 emendamenti, molti consiglieri hanno annunciato battaglia e anche fuori dal Palazzo si moltiplicano le pressioni (due sedute sono già state fissate per la prossima settimana, difficile che l’approvazione arrivi entro fine mese).
La legge approdata ieri in aula è la sintesi di tre diverse proposte, firmate dal presidente Zaia, dal suo ex vice presidente Marino Zorzato e dal vice presidente del consiglio Bruno Pigozzo, tutte tese al medesimo obiettivo, limitare il consumo di altro suolo «vergine» in una regione che secondo l’Ispra è seconda solo alla Lombardia per cementificazione, ormai ben oltre il 10% del territorio. Certo, l’urgenza che si avverte, complice la feroce crisi che attanaglia l’edilizia, non è più quella di un tempo, ma l’orizzonte è lunghissimo (il 2050, come indicato dall’Unione Europea) e non va dimenticato che la competenza della Regione in materia urbanistica è molto pervasiva, in grado di condizionare pesantemente l’autonomia pianificatoria dei Comuni (basti ricordare cos’è accaduto quando fu approvato, pure lì tra le polemiche, il Piano casa nelle sue varie edizioni).
La legge indica le linee generali ma entro sei mesi toccherà alla giunta tradurre i principi in misure concrete, a cominciare dall’indicazione – ogni 5 anni – della quantità massima di suolo «consumabile» (per l’Ue deve tendere a zero) e la sua ripartizione per ambiti comunali e sovracomunali, tenuto conto delle specificità territoriali – in particolare quelle montane -, del rischio idraulico, delle produzioni agricole, del paesaggio, delle infrastrutture. Sempre la giunta dovrà stabilire gli obiettivi di recupero degli «ambiti urbani di rigenerazione», regolamentare la circolazione dei crediti edilizi, selezionare gli interventi di interesse regionale che godranno di deroghe particolari.
I filoni di intervento sono tre. Il primo è la riqualificazione edilizia ambientale che prevede, tra le altre, la possibilità di demolire integralmente opere ricadenti in zone pericolose sotto il profilo idraulico o geologico, per ricostruirle altrove con la stessa potenzialità edificatoria, premialità volumetriche o di superficie, riduzioni dei contributi di costruzione (si pensi alle case nelle aree golenali: potrebbero essere buttate giù e ricostruite in paese). Il secondo filone è quello della riqualificazione urbana: in questo caso sarà il Piano degli interventi approvato dal Comune ad indicare gli ambiti urbani degradati che saranno oggetto di recupero e trasformazione. Anche qui si prevedono premi – fino al 30% delle potenzialità edificatoria – e riduzioni dei contributi se le aree vengono riportate «a verde» e gli immobili spostati in zone già edificate (esempio: un vecchio sito industriale da riconvertire). Infine, il terzo filone, quello della rigenerazione urbana sostenibile, che riguarda interventi di sviluppo di tipologie edilizie a basso impatto energetico e ambientale, di sperimentazione tecnologica, di realizzazione di progetti di integrazione sociale e culturale (come i progetti di co-housing).
La legge, che prevede una moratoria per l’approvazione dei Pat e delle varianti fino all’approvazione del Piano attuativo da parte della giunta, costituisce pure un fondo, alimentato dai contributi della legge Urbanistica del 2004, con cui finanziare progetti, studi di fattibilità urbanistica, la demolizione di «opere incongrue». Non mancano, però, le perplessità sia per quel che riguarda le deroghe, che le premialità e i poteri della giunta. In sede di discussione dovrà essere specificato anche il regime transitorio, che rischia di generare uno tsunami di ricorsi da parte dei privati che hanno già visto approvati i loro progetti.
Ma. Bo. – Il Corriere del Veneto – 17 maggio 2017