L’obiettivo sarà raggiunto nei tempi previsti. Ai primi di settembre il 70% degli italiani con più di 12 anni avrà concluso la vaccinazione e dopo circa un mese si toccherà l’80% di copertura. Poi si potrebbe già partire con le terze dosi, riservate inizialmente ai più fragili perché immunodepressi, ma si andrà comunque avanti anche con i cittadini che non hanno ancora ricevuto alcuna somministrazione. Per alzare ancora la percentuale delle persone protette.
I dati sull’andamento della vaccinazione lasciano ormai pochi spazi a dubbi e anche nella struttura commissariale per l’emergenza guidata dal generale Francesco Figliuolo c’è la convinzione di rispettare i tempi dati all’inizio della lunga campagna. Una volta agganciato l’obiettivo, però, la partita non sarà finita. Intanto perché non si potrà dire di aver raggiunto l’immunità di gregge e poi perché appunto bisognerà pensare a nuove somministrazioni, già previste in vari Paesi. Israele ha già iniziato due settimane con gli over 60. Anche la Gran Bretagna va nella stessa direzione, come la Germania e la Francia. E ieri negli Usa Anthony Fauci, capo dell’Istituto per le malattie infettive, ha detto: «Quasi certamente sottoporremo tutta la popolazione a un richiamo del vaccino anti Covid. Non solo i soggetti più fragili, per i quali la decisione è imminente. In un prossimo futuro la terza dose sarà necessaria per tutti».
In Italia in molti, anche nelle istituzioni sanitarie (è scritto pure sul sito del ministero), ritengono che con l’80% di persone vaccinate si raggiungerà la cosiddetta immunità di gregge. Si tratta di un errore. «Bisogna essere chiari: quella non la raggiungeremo mai», dice Stefania Salmaso, dell’Associazione italiana di epidemiologia. Per capire perché, bisogna partire dalla definizione: l’immunità di gregge si ottiene quando chi non è vaccinato non si ammala, perché la gran parte della popolazione ha la copertura e non fa circolare l’agente infettivo. È successo con la polio e con altre malattie, come il vaiolo o anche il morbillo (che però per il calo delle coperture ha provocato alcuni cluster negli anni scorsi). Ecco, con il coronavirus non si può ambire a questo obiettivo. «Ci sono troppe variabili — spiega Salmaso — Intanto i vaccinati non sono distribuiti in modo omogeneo su tutte le classi di età». Il virus può circolare soprattutto tra i giovani, meno coperti, tanto più che ci sono 6 milioni di italiani, tutti gli under 12, che non possono proprio fare il vaccino. Si tratta di un bacino molto ampio per l’infezione. Altro problema riguarda il fatto che «anche chi è vaccinato può comunque prendere l’infezione e forse, anche se gli studi al momento non sono definitivi, trasmetterla. Certo, queste persone hanno comunque minor rischio di infettarsi e contagiare ma comunque contribuiscono alla circolazione. Poi c’è la questione delle varianti». Si tratta di un altro aspetto che rende impossibile raggiungere la vera immunità di gregge. Insieme al calo nel tempo della copertura data dai vaccini, questo elemento è tra l’altro collegato alla necessità di fare una terza dose. In Israele ma anche in Francia, Regno Unito e Germania, hanno dato il via libera alla nuova somministrazione. Da noi si sta discutendo su come procedere e alcuni giorni fa c’è stata una riunione sul tema tra i tecnici del ministero, del Cts e di Figliuolo. La disponibilità di vaccini c’è, come ha detto di recente il generale, sia grazie a importanti riserve che per la possibilità di fare nuovi ordini. La struttura sta già pianificando gli aspetti logistici, per essere pronta se si partirà con la campagna delle terze dosi. L’idea al ministero è di iniziare prima possibile, anche già in autunno, con i più fragili, come ad esempio i trapiantati. In generale si vorrebbe dare una copertura in più a coloro che hanno problemi di risposta immunitaria legati a determinate patologie o terapie. Poi potrebbe toccare ad altre persone a rischio, in particolare i più anziani.
Abrignani “Partiremo dai fragili e dagli anziani A loro serve un rinforzo”
La terza dose si farà e servirà prima alle persone fragili, cioè anziani e malati con problemi al sistema immunitario. Intanto però bisogna portare a termine la campagna in corso. Ne è convinto Sergio Abrignani, immunologo dell’Università di Milano e membro del Cts.
Faremo la terza dose del vaccino anche in Italia?
«Potrebbe servire a dare un boost, cioè un potenziamento della risposta immunitaria, a chi ha già chiuso il ciclo. Sappiamo, grazie all’esperienza su altri vaccini, come quello contro l’epatite B, che una nuova somministrazione dà un rinforzo rispetto alle prime due dosi. Sarà utile ad esempio per chi ha risposto poco al primo ciclo di vaccinazione ma anche per chi ha ancora un’ottima copertura, perché potrebbe servirgli a prolungare la memoria immunologica».
Per ora le agenzie regolatorie non hanno dato il via libera.
«Ma altri Paesi, come Israele, Francia, e ora anche gli Usa si stanno muovendo».
La terza dose serve contro le varianti?
«Contro quelle esistenti, come la Delta, sì, perché abbiamo visto che il vaccino copre al 90-95% dalle forme gravi e a circa al 70-80% contro l’infezione. Se per caso dovesse venire fuori in futuro una variante che sfugge e purtroppo dovesse prendere il sopravvento, allora sarà necessario fare un richiamo con un vaccino diverso, quindi non con il booster di cui parlavo prima».
Le varianti che sfuggono al vaccino non ci sono ancora. Allo stato attuale a quali persone deve essere fatta la nuova somministrazione?
«In questo momento nel mondo occidentale circa il 98% dei morti ha più di 60 anni. Quindi si va verso una terza dose per queste persone. Prima però ci sono da proteggere i fragili che rispondono poco al vaccino a causa delle loro condizioni. Si tratta ad esempio di soggetti che fanno la chemioterapia, che hanno sindromi di immunodeficienza, oppure che assumono alte dosi di cortisone.
Non sono tanti nel nostro Paese, al massimo mezzo milione di persone».
Quali vaccini si useranno per la terza dose?
«Quelli a Rna messaggero, come Pfizer o Moderna, o quelli a proteina ricombinata come Novavax, che sta per essere autorizzato e arrivare sul mercato. Non verranno usati molto probabilmente i vaccini a vettore virale. Chi ha fatto due dosi di AstraZeneca o una di Johnson&Johnson riceverà quindi una vaccinazione eterologa, che ora sappiamo funzionare anche meglio».
Quali saranno i tempi?
«Intanto nei prossimi mesi vacciniamo il più possibile chi non è ancora entrato in questa prima parte della campagna.
Possiamo aspettare ancora un po’ prima di fare le terze dosi, l’importante è arrivare all’80% di copertura. Israele è già partito ma loro hanno iniziato a vaccinare a fine novembre 2020, noi, a parte i medici e tutto il personale sanitario, siamo partiti a febbraio».
Arriverà il vaccino per gli under 12?
«Sono in corso studi per dimostrare l’ efficacia e la sicurezza dei vaccini anche per chi ha meno di 12 anni.
Dovrebbero concludersi tra settembre e dicembre, forse anche prima. Poi dovrà esserci l’approvazione delle autorità regolatorie internazionali».
È un problema se non viene raggiunta l’immunità di gregge?
«Sappiamo che il 20-30% dei vaccinati possono infettarsi ed essere asintomatici o avere sintomi lievi. Questo rende impossibile l’immunità di gregge ma comunque abbiamo allo stesso tempo una mitigazione enorme del rischio. Inoltre bisogna aggiungere che nel 95% dei casi i vaccini sono efficaci contro le forme gravi. Non saranno perfetti, ma questi medicinali hanno ridotto di molto il numero dei morti e dei ricoverati in terapia intensiva. In Gran Bretagna, Paese che tra i primi ha affrontato la Delta, all’inizio dell’anno con la Alfa come variante prevalente avevano 50-60mila casi e 1.200 morti al giorno. A giugno avevano sempre 50-60mila casi ma i morti erano poche decine, al massimo 100. La differenza è enorme».
Il coronavirus sta diventando endemico?
«La pandemia che stiamo ancora vivendo, se intensificheremo la campagna vaccinale, potrebbe presto diventare una gestibile endemia, cioè una situazione con un numero relativamente basso e costante di casi clinicamente rilevanti, cioè di ricoveri in terapia intensiva o morte, che non provocheranno ingolfamento delle strutture sanitarie».