0,4% L’aliquota base introdotta dal governo per la prima casa (se è abitazione principale). I Comuni potranno alzarla o abbassarla al massimo dello 0,2%
L’allarme lo ha lanciato domenica la Consulta dei Caf, i centri di assistenza fiscale: mancano indicazioni sull’Imu, la nuova tassa sulla casa, i comuni non hanno ancora deliberato l’aliquota da adottare, si rischia il caos quando, entro il 16 giugno, verrà il momento di versare la prima rata. Ieri, la soluzione, individuata nel corso di una riunione tra governo e maggioranza: un emendamento dei relatori del decreto fiscale in discussione nelle commissioni Finanze e Bilancio del Senato. Per ovviare alla confusione, la prima rata dell’Imu – si legge nel testo firmato da Antonio Azzollini del Pdl e Mario Baldassari del Terzo Polo – verrà calcolata applicando senza sanzioni le aliquote di base e le detrazioni previste (franchigia di 200 euro sulla prima casa; 50 euro per ogni figlio under 26), se i Comuni non hanno deliberato l’aliquota.
Il problema sollevato dai Caf era infatti legato al calcolo dell’imposta. Secondo quanto deciso dal decreto Salva Italia che ha introdotto la nuova tassa, le aliquote base sono dello 0,4% per l’abitazione principale, con la possibilità però per i comuni di aumentarla o diminuirla fino allo 0,2%, e dello 0,76% per le seconde case, che si possono ritoccare dello 0,3% in su o in giù. Ma i comuni in larghissima parte non hanno ancora deliberato modifiche all’aliquota (solo il 6% lo ha fatto, fanno i conti i Caf), da cui la difficoltà a prevedere i conteggi.
Con l’emendamento presentato ieri sera che stabilisce il pagamento dell’acconto con l’aliquota base, si dà risposta alle incertezze dei centri di assistenza fiscale, e nei fatti si ammorbidisce la stangata dell’Imu di giugno, rinviandola a fine anno, quando quasi tutti i comuni avranno alzato i punti percentuali per venire incontro alle loro disastrate finanze. La stangata vera e propria è prorogata a dicembre, quando, entro il 16, arriverà il conguaglio sulla prima rata e bisognerà saldare il conto, magari calcolato su un’aliquota parecchio più alta, che i comuni devono decidere entro il 30 settembre.
L’emendamento che risolve il problema prevede anche che il presidente del Consiglio, entro il 31 luglio, emani un decreto per determinare eventuali modifiche delle aliquote e delle detrazioni sulla base del gettito della prima rata «per assicurare l’ammontare del gettito complessivo previsto» per il 2012.
Proprio per risolvere questo problema, ieri, la prevista riunione delle Commissioni congiunte in Senato per dare il via libera all’approdo in Aula del decreto fiscale ha tardato a cominciare. Prima, si è tenuto un incontro tra governo e maggioranza (capigruppo in commissione e relatori del decreto): «Abbiamo presente il problema e faremo del nostro meglio», garantisce al termine il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli. In un primo momento il relatore Azzollini prospetta l’ipotesi di una «soluzione amministrativa» (sarebbe stato possibile risolvere la questione tramite una circolare del Dipartimento delle finanze), poi arriva l’emendamento.
La presentazione di nuove modifiche al testo in discussione fa anche slittare i termini per licenziare il provvedimento: il voto finale delle Commissioni, in programma ieri sera tardi, arriverà invece oggi, perché il termine per la presentazione di subemendamenti dei senatori è fissato per le 9. Alle 16 comunque il decreto approderà in Aula al Senato.
«C’è da correggere qualcosa e lo si sta facendo in Senato», commenta il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, che raccomanda «sull’applicazione immediata di questa norma il governo deve dire una parola chiara». E ricorda anche che «la questione è quanto rimane ai comuni»: un aspetto che l’Anci, l’associazione dei comuni, da tempo lamenta. Lo ha ribadito ancora ieri il sindaco di Roma, Gianni Alemanno: «Noi siamo solo esattori delle imposte, dopo tutti i soldi vanno al governo
La stampa – 3 parile 2012