di Gianni Trovati. Un’imposta esplosa in 104mila aliquote, che il contribuente deve cercare in sette giorni con un’affannosa caccia telematica fra i siti di oltre 8mila Comuni, più che il Fisco di un Paese occidentale ricorda gli esercizi degli scienziati pazzoidi della letteratura e del cinema. John Nash e le altre beautiful minds, però, avevano almeno la soddisfazione di impegnarsi nello studio di teorie altissime e originali, e non nel pagamento di un tributo immobiliare che dovrebbe rappresentare un banale appuntamento burocratico.
In questa complicazione degli affari semplici, la storia dell’Imu corre parallela a quella del tributo sui rifiuti, che anche in Paesi assai meno avanzati dell’Italia è da molti anni una vicenda di ordinaria amministrazione mentre da noi è riuscito a scomporsi in sei voci diverse, in cui anche gli addetti ai lavori faticano a individuare con certezza regole e differenze. Commercialisti, centri di assistenza fiscale e sostituti d’imposta, impegnati a gestire le posizioni di parecchi contribuenti, in questa fiera delle difficoltà inseriscono anche l’addizionale Irpef, la cui evoluzione 2013 non è ancora finita perché in questo caso le aliquote hanno tempo fino al 20 dicembre per vedere la luce: né alla rassegna può sfuggire l’addizionale regionale, che si chiama come quella comunale, insiste sulla stessa imposta ma segue regole e calendari diversi. Il problema, allora, non è solo l’Imu, che semmai condensa nel proprio infinito travaglio i difetti genetici di un semi-federalismo assai vivace quando ai contribuenti impone obblighi, e catatonico quando dovrebbe offrire diritti. Le scelte di fiscalità locale negli ultimi anni sono puntualmente nate da un braccio di ferro fra i Comuni, che spesso hanno ecceduto in fantasia tributaria oppure in malriposta furbizia quando hanno alzato in extremis le aliquote di un’imposta sull’abitazione principale in via di abolizione, e lo Stato centrale, che più di una volta ha gonfiato le tasse locali solo di nome per fare cassa o compensare tagli più o meno lineari. In questa guerriglia fra articolazioni dello Stato che secondo la Costituzione federalista dovrebbero collaborare su livelli paritari (articolo 114), al contribuente è assegnato il ruolo di spettatore impotente, chiamato spesso a capire l’incomprensibile e ad affrontare vicende paradossali. Le imprese edili, per esempio, si sono viste riconoscere l’esenzione Imu per i fabbricati invenduti, ma sono comunque chiamate alla cassa entro il 16 dicembre nei Comuni che hanno alzato l’aliquota ordinaria, perché c’è da conguagliare l’importo versato a giugno. Lo stesso accade per le case dei militari, ma solo se sono proprietari di un unico immobile, e a chi ha concesso in comodato un appartamento al figlio, a patto che il sindaco abbia deciso di assimilarlo all’abitazione principale. L’aneddotica può essere infinita, ma la ragione è una sola: la politica ha scelto come terreno di scontro il Fisco locale, forse considerandolo più “malleabile” di quello erariale, e la battaglia continua ha generato un’incertezza endemica. Che costa miliardi.
Il Sole 24 Ore – 12 dicembre 2013