Chiamiamola con il suo nome: stangata. Se il Governo che verrà non troverà risorse alternative, si preparano sette mesi di tempesta fiscale su famiglie e imprese. L’equazione è semplice: più soldi da destinare alle tasse e meno disponibilità per le spese, con il rischio molto concreto di un ulteriore contraccolpo sulla domanda interna. Sull’Imu il dibattito politico è tutto incentrato sull’abolizione (o sulla riduzione) dell’imposta sulla prima casa e sulla restituzione di quanto versato nel 2012. Si avvicina la stangata dell’Iva: dal 1 luglio l’aliquota del 21% salirà al 22%. Per il 2013 il costo complessivo a carico dei consumatori sarà di 2,1 miliardi di euro, dal 2014 toccherà i 4,2 miliardi, con un aggravio medio annuo che arriverà fino a 103 euro a famiglia.
E’ la stima della Cgia di Mestre nell’ipotesi che i consumi delle famiglie italiane rimangano immutati: nel caso di un nucleo costituito da 3 persone l’aumento medio annuo sarà di 88 euro e nel caso di una famiglia di 4 componenti di 103 euro. Visto che per il 2013 l’aumento dell’Iva riguarderà solo il secondo semestre, per l’anno in corso l’aggravio sarà la metà: 44 euro per la famiglia da 3 persone; 51,5 euro per quella da 4.
“Bisogna assolutamente scongiurare questo aumento – sottolinea Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – se ciò non avverrà, corriamo il serio pericolo di far crollare definitivamente i consumi che ormai sono ridotti al lumicino. Questa è una crisi economica che va affrontata dalla parte della domanda: solo incentivando i consumi interni possiamo rilanciare la produzione. Altrimenti, siamo destinati ad accentuare la fase recessiva che comporterà un aumento delle chiusure aziendali e la crescita del numero dei senza lavoro”.
I rincari che peseranno di più sui portafogli delle famiglie italiane, secondo l’associazione di Mestre, sono quelli che scatteranno per il pieno all’auto o per il meccanico o il carrozziere (33 euro all’anno per una famiglia di tre persone, 39 euro se il nucleo è composto da 4 persone), per l’acquisto dei capi di abbigliamento e per le calzature (18 euro all’anno per una famiglia di 3 persone, 20 euro se il nucleo è da 4) e per l’acquisto di mobili, elettrodomestici o articoli per la casa (13 e 17 euro). La Cgia ricorda che il passaggio dal 21% al 22% dell’aliquota Iva ordinaria non inciderà sulla spesa dei beni di prima necessità, come gli alimentari, la sanità, l’istruzione o l’abitazione, tutti beni ai quali si applica l’Iva al 10% o al 4%, o non si applica affatto.
E siccome cambiano le regole per la ripartizione del gettito tra Stato e Comuni, a farne ancora di più le spese saranno le aziende. Perché? Allo Stato andrà l’incasso di capannoni, alberghi, impianti tassati con l’aliquota dello 0,76 per cento.
Solo che i Comuni potrebbero alzare l’aliquota dello 0,3% e trattenere nelle proprie casse lo spread: una manovra che può servire sia a rimpinguare le casse sia eventualmente a finanziare esenzioni sulla prima casa (se Governo e Parlamento non decidessero in altro modo). Non solo, in quanto questa categoria di immobili deve già mettere in conto un aumento del moltiplicatore con cui si calcola il valore catastale: un incremento della base imponibile dell’imposta che già da solo fa segnare un +8,3 per cento. A conti fatti, un capannone di 3mila metri quadrati con una rendita catastale di 30mila euro potrebbe trovarsi a pagare a fine anno oltre 6mila euro in più con l’aliquota al massimo (un aumento complessivo di quasi il 40 per cento). E non basta perché c’è tutto il capitolo delle tasse sui rifiuti. Il temporaneo congelamento della Tares, con le prime due rate di maggio e settembre pagate ancora con la vecchia Tarsu (nei Comuni in cui non si applica la Tia), rischia di costare carissimo al momento del conguaglio di dicembre.
Complessivamente una famiglia in un appartamento di 100 metri quadrati potrebbe arrivare a pagare fino al 25% in più rispetto al 2012, ma un bar di 100 metri quadrati pagherà – secondo le prime eleborazioni di Confcommercio – anche 1.400 euro in più, che tradotto in termini percentuali significherebbe il 560% in più. Numeri da brivido e che faranno molto più effetto su casse e portafogli perché a dicembre c’è anche il saldo Imu da pagare e il tutto arriva a pochi giorni dalla scadenza sugli acconti Irpef.
Nel frattempo, intanto, famiglie e imprese potrebbero essere state costrette a incassare il colpo sull’aumento Iva. Dal 1° luglio l’aliquota ordinaria passa dal 21 al 22 per cento. Lasciando perdere le complicazioni per professionisti e attività che comporta un cambio di aliquota ad anno in corso, il contraccolpo si sentirà soprattutto sulla spesa al supermercato. Una coppia con due figli con una spesa annua di 2.212 euro al netto dell’imposta dovrà mettere in conto un aumento del 6,1% dell’Iva che inciderà su quell’esborso. Con un effetto, non secondario, da ricordare: è un rincaro che colpisce di più chi è costretto a spendere non solo per alimentari (che generalmente scontano l’aliquota al 4 o al 10%).
Tratto da Il Sole 24 Ore e Repubblica – 29 aprile 2013