Possibili risparmi sul costo del debito e maggiori proventi dai pagamenti Pa. Ma c’è il rischio delle turbolenze politiche. Misure in caso di aggravio del disavanzo
ROMA – Se il governo non riuscirà a definire una riforma complessiva dell’Imu entro il mese di agosto, dovrà per forza di cose far slittare il termine del 16 settembre, entro il quale altrimenti i contribuenti sarebbero chiamati a versare la prima rata non pagata a giugno. L’ipotesi di un rinvio non è certo ottimale per l’esecutivo, ma viene presa in considerazione; resta da vedere – relativamente all’abitazione principale – chi eventualmente dovrebbe pagare l’imposta a dicembre e in che misura. Il progetto di un unico tributo sui servizi comunali, compresa l’attuale Tares, resta forse l’obiettivo principale ma richiede tempi non immediati: altro motivo che potrebbe spingere a prendere tempo.
Naturalmente la questione dell’Imu, come quella del differimento dell’aumento Iva, è collegata alla situazione finanziaria complessiva, ed all’esigenza di rispettare il vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil. Come ha spiegato qualche giorno fa il ministro Saccomanni in Parlamento, ci sarebbe qualche motivo per guardare ai prossimi mesi con un po’ di pessimismo in meno. Accanto ai piccoli segnali di ripresa dell’attività produttiva, o quanto meno di arresto della sua caduta, anche il quadro dei conti pubblici mostra elementi positivi. Dato il diverso calendario per i pagamenti, si dovrà arrivare alla fine di luglio per valutare in modo compiuto i risultati dell’autotassazione; ma le indicazioni che vengono dall’Ires versata dalle imprese sono favorevoli, ed anche sull’Iva a giugno c’è stato un miglioramento.
I SEGNALI POSITIVI
Anche alcuni provvedimenti del governo, per quanto limitati, potrebbero produrre effetti positivi sia sul ciclo economico sia di riflesso sull’andamento delle entrate: è il caso ad esempio degli ecobonus che dovrebbero dare una mano all’edilizia, o anche di alcune misure sull’occupazione (mentre su ipotesi più drastiche di deregolamentazione del lavoro, come quella avanzata dall’ex ministro Sacconi, si registra già una levata di scudi dei sindacati).
Ma per il ministero dell’Economia la scommessa principale si gioca sul mercato dei titoli di Stato. La giornata di ieri non è stata felice, ma se non prevarranno le turbolenze politiche sulla carta ci sarebbe la possibilità da qui a fine anno di pagare un po’ meno interessi sul debito rispetto alle previsioni: il premier Letta ha parlato di un risparmio di un paio di miliardi. Le condizioni di mercato saranno decisive anche per valutare la possibilità di emettere nuovo debito finalizzato ad incrementare il plafond destinato nel 2013 ai pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese. Un’accelerazione porterebbe ulteriori benefici anche in termini di maggiore Iva: ed è questa la seconda arma di riserva su cui l’esecutivo potrebbe fare affidamento. Proprio ieri la Ragioneria generale ha reso noto il provvedimento con cui vengono suddivisi tra gli enti locali gli ulteriori importi destinati ai pagamenti, da escludere dai vincoli del Patto di stabilità: in tutto 709,5 milioni di euro.
Queste eventuali risorse aggiuntive potrebbero essere destinate al finanziamento delle varie esigenze, ma più semplicemente potrebbero servire a tamponare eventuali falle nei conti. D’altra parte lo stesso decreto che dispone lo sblocco dei pagamenti alle imprese contiene una solida clausola di salvaguardia che prevede in caso di possibile sforamento del deficit la parziale sospensione degli stessi pagamenti e l’adozione di altri provvedimenti. Insomma in caso di emeregenza la manovra correttiva è già scritta.