L’Imu sull’abitazione principale si potrebbe anche cancellare, ma quest’operazione porterebbe a premere ancora di più su seconde case, negozi, uffici e capannoni.
L’ipotesi, rilanciata ad aprile da un ordine del giorno targato Pdl e approvato alla Camera, nelle intenzioni del Governo rimane comunque del tutto teorica: l’esenzione riporterebbe in campo «una singolarità del sistema tributario italiano» rispetto a «tutti i Paesi Ocse» e toglierebbe ai Comuni «un’importante leva di autonomia fiscale».
A ribadire alla Camera la centralità dell’Imu nella strategia adottata dal Governo col decreto «Salva-Italia» di Natale e con quello sulle «semplificazioni fiscali» appena convertite in legge (la 44/12) è stato ieri il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, rispondendo nel question time a un’interrogazione di Gianpaolo Dozzo (Lega Nord).
Visto l’equilibrio precario dei conti pubblici, che ha imposto in questi mesi la logica del “costo zero” con l’obbligo di compensare ogni ipotesi di alleggerimento fiscale, Grilli puntualizza prima di tutto che un’eventuale abolizione dell’imposta sull’abitazione principale andrebbe accompagnata da un rincaro sugli altri immobili.
Dal momento che già il quadro attuale – tra incremento dell’aliquota e nuovi moltiplicatori da applicare alle rendite catastali – raddoppia il conto medio su seconde case (tranne quelle sfitte), negozi e altri immobili, la strada sembra poco percorribile. Ma nella visione illustrata da Grilli non sono solo questi ostacoli “tecnici” ad allontanare una scelta considerata poco raccomandabile anche sul piano economico.
Non c’è solo il fatto che nessun Paese Ocse porta il fisco a disinteressarsi completamente dell’abitazione principale, mentre la grande maggioranza le riserva un trattamento di favore (come accade anche per l’Imu). «L’Italia – ha aggiunto senza mezzi termini il viceministro – è, tra i principali Paesi dell’Ocse, quello con la più bassa tassazione immobiliare».
A sostegno di questa affermazione, Grilli ha richiamato i numeri sul peso delle imposte immobiliari rispetto al Pil, che da noi si fermerebbe allo 0,6% contro l’1,1% della media Ocse e i picchi rappresentati da Francia (2,4%) e Gran Bretagna (3,5%).
Questi numeri, tuttavia, si riferiscono al 2009, quando c’era l’Ici e l’abitazione principale non pagava nulla, mentre il prodotto interno lordo del 2012 non dovrebbe rivelarsi molto lontano da quello del 2009 (anno del crollo del 5,1% rispetto a 12 mesi prima).
In un quadro come questo, secondo Grilli la reintroduzione dell’abitazione principale nel raggio dell’imposta immobiliare risponde non solo «all’esigenza di consolidamento dei conti pubblici», ma anche al «perseguimento di obiettivi di equità», perché «il prelievo sulla prima casa riduce la disparità di trattamento tra proprietari ed inquilini, che sostengono un costo per la disponibilità dell’abitazione».
Dal punto di vista “tecnico”, insomma, la questione è risolta, anche perché sull’abitazione principale Ici e Imu sono praticamente equivalenti (per entrambe il gettito annuo è di poco superiore ai 3 miliardi) e, grazie all’aliquota leggera e alle detrazioni, il 28% dei 24,3 milioni di proprietari non dovranno pagare nulla. È sul piano politico, invece, che il problema si complica: mentre i sindaci chiedono di vedersi attribuita una quota crescente del gettito (e su questo c’è una parziale apertura governativa, anche se rimandata al prossimo anno), l’ordine del giorno sull’esenzione dal 2013 dell’abitazione principale è diventata una bandiera per il Pdl. Ancora ieri il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, l’ha citato quando ha consigliato al presidente del Consiglio di «non rimanere indifferente» alle richieste dei partiti per non «tagliare l’albero su cui il Governo si poggia».
Ilsole24ore.com – 10 maggio 2012