Il Sole 24 Ore. Vaccinare quasi 1 miliardo di persone, circa il 12% della popolazione mondiale, entro i prossimi 100 giorni. Ecco la missione impossibile evocata dall’Organizzazione mondiale della Sanità che nei giorni scorsi ha ribadito la necessità di vaccinare almeno con due dosi il 70% della popolazione entro luglio per poter provare a uscire finalmente dalla pandemia riducendo il più possibile i “serbatoi” di nuove pericolose varianti del virus prima dell’arrivo del prossimo autunno quando il Covid potrebbe rialzare la testa. Se in Italia già siamo infatti alla quarta dose per anziani e fragili in molti aree del mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, il vaccino è ancora quasi un perfetto sconosciuto.
A oggi siamo infatti ancora al 58% dei vaccinati con almeno due dosi in tutto il mondo (manca appunto il 12%) con vistose differenze: se l’Europa ha raggiunto il 70,2% di abitanti totalmente immunizzati (con l’Italia quasi all’85%); gli Usa sono al 65,6% l’Africa è invece ancora lontanissima dal target dell’Oms visto che il numero di vaccinati ha raggiunto uno striminzito 15 per cento. A preoccupare è il ritmo di vaccinazioni che ormai è rallentato vistosamente in tutto il mondo a causa dell’esitazione vaccinale: un mix di scetticismo e stanchezza dopo due anni di pandemia. Solo che in Africa oltre all’esitazione si aggiunge anche un enorme problema infrastrutturale che impedisce la somministrazione delle dosi che al momento non mancherebbero.
Secondo il centro per la prevenzione e il controllo delle malattie dell’Africa al 5 aprile il continente africano ha ricevuto 749,7 milioni di dosi di vaccino anti Covid e ne ha somministrate circa 502 milioni (67% della fornitura). Con il ritmo di somministrazioni seguito finora l’Africa riuscirà a raggiungere il 40% della copertura vaccinale soltanto tra un anno, e cioè nel maggio del 2023.
«Il problema non è più la scarsità di vaccini, ma di vaccinazione», ha spiegato nei giorni scorsi Thomas Cueni, il direttore dell’associazione internazionale dell’industria farmaceutica (Ifpma) in un seminario web con giornalisti di tutto il mondo in cui si è fatto il punto anche sui nuovi vaccini e le cure contro il Covid. «Le forniture di vaccini surclassano la domanda, nel 2021 ne abbiamo prodotti 11 miliardi di dosi, ma la domanda rallenta e nel primo trimestre dell’anno sono cominciate le cancellazioni degli ordini», ha detto Cueni. «Dobbiamo affrontare l’esitazione vaccinale – ha precisato – e non si tratta di problemi che si risolvono con la sospensione dei brevetti, sono anzi sorpreso che la questione sia ancora dibattuta vista la cancellazione degli ordini e impianti di produzione che vengono chiusi».
A sottolineare uno degli ostacoli che frenano maggiormente le campagne vaccinale nei Paesi più poveri è stato il presidente e ad di Pfizer Alberto Bourla: «Dobbiamo lavorare insieme per migliorare le infrastrutture così che anche i paesi emergenti possano assorbire l’offerta vaccinale. Noi attraverso il governo Usa abbiamo reso disponibile 1 miliardo di dosi di vaccino ai Paesi più poveri gratuitamente, 800 milioni di queste non possono però essere assorbite dalle campagne vaccinali in questi Paesi, in parte per un alto livello di esitazione vaccinale, ma anche per motivi infrastrutturali«. «Se negli Usa o in Ue per arrivare a un centro vaccinale ci vogliono 15 minuti – avverte Bourla -, in alcuni di questi paesi bisogna camminare per 8 ore».
Un punto questo sottolineato con forza anche da Amref, l’Ong che opera in Africa, e che ricorda come l’esitazione vaccinale non sia il motivo principale per cui le persone non ricevono il vaccino: «Quello che riscontrano sul campo i nostri operatori è che, quando i vaccini sono disponibili, le persone si mettono in fila per riceverli. La sfida sta nell’assicurare quelle dosi e poi nel portarle più vicine alle comunità: nei luoghi in cui le persone lavorano e svolgono le loro attività». Per Amref però non c’è solo un problema di infrastrutture: delle dosi che sono state invitate in questi Paesi molte «scadono mesi o addirittura qualche settimana dopo il loro arrivo». Un problema in più per governi e operatori sanitari per proteggere la popolazione di questi Paesi più svantaggiati nella corsa alla vaccinazione contro il Covid.