Il silenzio che circonda l’app Immuni potrebbe essere determinato dal fatto che si tratta di un capitolo dell’istruttoria ancora in corso presso la procura di Bergamo a proposito delle responsabilità su quanto avvenuto in Lombardia prima e nel paese poi durante la prima disastrosa fase della pandemia, nel marzo del 2020. Il governo in carica ha infatti annunciato quasi alla chetichella che il prossimo 31 dicembre sarà del tutto disattivato il dispositivo che doveva assicurare il contact tracing per localizzare eventruali incroci con persone contagiate. Dunque quell’icona che ancora campeggia sullo schermo del nostro telefonino, del tutto marmorizzata nella sua inutilità, potrà essere rimossa, come una lapide inutile, quale era fin dall’inizio.
Immuni è stata scaricata da circa 22 milioni di dispositivi ed ha generato meno di 200 mila tracciamenti. Praticamente era meglio farli a mano, con driver che raggiungevano il possibile contagiato. Una vera catastrofe. Ma nessuno ci vuole spiegare perché? Perché immuni non ha funzionato? Perché centinaia di migliaia di contagi, avvenuti occasionalmente per strada o in luoghi affollati non sono stati tracciati? Perché Immuni nelle poche volte in cui è entrata in funzione si limitava ad informarci che probabilmente qualche giorno prima avremmo potuto incontrare un soggetto risultato poi positivo, rendendoci inutilmente ansiosi ma inibendo ogni possibile intervento?
L’allora ministro della tecnologia del governo Conte 2, che ebbe la ventura di seguire l’operazione non ha nulla da dirci? Il comitato tecnico, istruito dal ministro, non può provare a darci qualche risposta? Non certo a noi, che siamo nessuno. Ma forse qualche migliaia di famiglie che ha dovuto poi seppellire, da lontano, i propri congiunti meriterebbe spiegazioni.
Perché Immuni è stata costruita in modo che, in nessuna circostanza, avrebbe potuto essere utile? Eppure sono stati spesi soldi per il progetto, che è stato annunciato con fanfare e sorrisi da parte dei rappresentanti governativi. Già qualche ora dopo l’annuncio del dispositivo ci fu qualcuno che, stupito, chiedeva come potesse essere efficiente un sistema di tracciamento che non poteva usufruire in nessun modo, nemmeno con le procedure più garantiste dei diritti individuali, del Gps.
Certo il garante della Privacy del tempo aveva sollevato dubbi, anche se non aveva spiegato come mai si voleva inibire un sistema di intervento sanitario pubblico, in piena emergenza, mentre si continuava a tollerare che i due sistemi operativi che si dividevano il mercato degli smartphone mondiale – iOS di Apple e Android di Google – monitoravano ogni singolo movimento di ognuno dei miliardi di utenti proprio tramite il gps incluso nell’apparecchio mobile.
Una contraddizione che era esplosa proprio a fine marzo, stiamo parlando di quel marzo del 2020, quando i camion con le bare sfilavano a Bergamo e in tutto il lombardo-veneto sfrecciavano le autoambulanze verso ospedali già intasati, in cui proprio i due monopolisti del mercato mobile, Apple e Google, avevano diffuso un comunicato congiunto diffidando i governi europei ad utilizzare il Gps, violando la normativa che la stessa Unione Europea aveva promulgato. Una normativa, quella europea sull’uso dei dati, che però aveva previsto una sola eccezione per procedere in deroga alle norme sulla privacy da parte delle pubbliche autorità : la pandemia.
I presupposti legali e politici per permettere ad uno stato di procedere, di fronte ad una drammatica emergenza sanitaria, esattamente con le stesse modalità che usano Apple e Google per macinare miliardi di dollari di profitto con il GPS, c’erano tutti. Si poteva assicurare la piena localizzazione degli incroci pericolosi, documentando dove e quando ognuno di noi aveva incontrato un portatore di virus, per un periodo limitato e con una combinazione di tecnologie che avrebbe garantito anche l’anonimato dei soggetti tracciati. Bastava volerlo, e soprattutto bastava ignorare l’ultimatum dei due gruppi della Silicon Valley.
Eppure nessuna forza politica o sindacale alzò un sopracciglio. Tanto meno opinionisti ed esperti tecnologici, molti dei quali erano ospitati nel capiente comitato tecnico organizzato dal ministro Pisano. Immuni fu probabilmente il primo segnale di una fragilità di quel governo, e delle forze che lo componevano, ad affrontare la pandemia con la risoluzione e la determinazione necessaria. Quella fragilità che fece ritardare, in alcuni casi di qualche giorno, le indispensabili chiusure nelle aree già flagellate dal virus e che inchiodarono quell’esecutivo ad un ruolo di puro retroterra delle regioni che mantennero per i primi mesi l’iniziativa, frammentando e annebbiando ogni strategia unitaria che poteva frenare il contagio.
I balbettii di Immuni e dei suoi promotori resero indubbiamente più caotica la risposta dello Stato all’infezione e soprattutto ridussero la credibilità di un centro di comando nazionale che avrebbe poi cercato di pianificare la fase delle vaccinazioni, offrendo il fianco alle forze più oscurantiste e reazionarie che intendevano usare cinicamente le vittime del Covid per dare un colpo allo spazio pubblico e alla autorevolezza di una sanita nazionale assediata e inquinata da anni di sopraffazione da parte degli interessi privati.
Ora la definitiva uscita di scena di quel simulacro di strategia tecnologica, la stessa che in altri Paesi è risultata decisiva per circoscrivere la dinamica di contagio mentre da noi è apparsa del tutto inutile e irritante, rischia di gettare ancora più polvere negli occhi, ratificando un fallimento anonimo, che se non avrà nomi e cognomi sarà ancora una volta pagato dal servizio sanitario nazionale. Se non altro perché, come ci ricorda Albert Camus nel suo emblematico romanzo La Peste, “dico soltanto che sulla terra ci sono flagelli e vittime, e che per quanto possibile bisogna rifiutarsi di stare dalla parte del flagello”.
https://www.huffingtonpost.it/blog/2022/12/27/news/immuni_una_lapide_sul_nostro_smartphone_il_fallimento_dellapp_che_doveva_salvarci-10980011/?ref=HHTP-BH-I10933550-P1-S7-T1