E’ nullo il licenziamento intimato alla lavoratrice durante la gravidanza: non costituisce giusta causa l’aver abbandonato il posto di lavoro a causa di un malore. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 1089/12.
Il caso
La commessa di un negozio impugna il licenziamento, intimatole per ingiustificato abbandono del posto di lavoro. Sostiene che, a causa di un malore, era andata al Pronto Soccorso, dove aveva saputo di essere incinta. Due giorni dopo, mentre si trovava in negozio, aveva avvertito forti dolori e aveva dovuto abbandonare il negozio per andare all’ospedale, segnalando l’emergenza al datore di lavoro e provvedendo a farsi sostituire. In ospedale le veniva prescritto riposo assoluto e la lavoratrice trasmetteva il certificato medico al datore che, invece, rispondeva con una lettera di licenziamento.
Tribunale e Corte d’appello dichiaravano illegittimo il licenziamento e il datore di lavoro proponeva ricorso per cassazione.
Determinante, ai fini della dichiarazione di nullità del licenziamento, è la conoscenza dello stato di gravidanza della lavoratrice da parte del datore. La Cassazione condivide le valutazioni della Corte territoriale, secondo cui dal materiale probatorio deve ritenersi assolutamente accertato che il datore fosse a conoscenza dello stato di gravidanza al momento del licenziamento: la lavoratrice, infatti, aveva reso edotto il datore subito dopo aver appreso la notizia, dopo la prima visita al Pronto Soccorso (cioè due giorni prima l’assenza dal negozio e tre giorni prima del licenziamento). Tanto basta a dichiarare illegittimo il licenziamento, in applicazione dell’art. 54, comma 2, d. lgs. 151/2001.
La lavoratrice ha avvertito il datore, prima di farsi sostituire e abbandonare il posto di lavoro. Infondate, a questo punto, le ulteriori censure con cui il datore rivendica una giusta causa di licenziamento, per avere la dipendente affidato il negozio a persona estranea all’azienda. Rileva, sul punto, il Collegio che i giudici del merito hanno correttamente osservato, sempre sulla base del materiale probatorio, come la lavoratrice, prima di recarsi all’ospedale, avesse telefonato ad un altro negozio della stessa società e che l’altra dipendente di quel negozio le avesse inviato una persona per la sostituzione temporanea. Il negozio, quindi, è stato affidato a questa persona, espressamente inviata da una dipendente della società. Nessun rimprovero, in questo senso, può essere mosso alla lavoratrice che, costretta a recarsi in ospedale, si è attivata per farsi sostituire ed ha in ogni caso avvertito il datore di lavoro.
La Stampa – 24 maggio 2012