Pesa l’assistenza ma anche contributi in flessione e pensioni sempre più care. Sarà il dossier più caldo (e più corposo) che il commmissario alla spending review, Carlo Cottarelli, dovrà affrontare.
Il grande capitolo della spesa pensionistica e assistenziale, la voce più ingente del bilancio pubblico, non può essere ignorato. Se non si interverrà con decisione su quei 300 miliardi di spesa, allora l’obiettivo di risparmi per 32 miliardi rischia di non essere centrato. Anche perché la dinamica della spesa sarà, secondo le previsioni, in forte incremento. Nel 2013 infatti i trasferimenti dello Stato all’Inps hanno toccato i 112,5 miliardi. Sette miliardi secchi in più (+6,6%) rispetto ai 105,6 miliardi che è costata la bolletta pubblica per coprire lo squilibrio tra entrate contributive e prestazioni erogate dall’ente pensionistico italiano.
39 miliardi in più dal 2008
Un’escalation che non ha requìe da tempo. Basti pensare che solo nel 2008 prima della “Grande crisi” erano sufficienti 73 miliardi di trasferimenti dal bilancio dello Stato per coprire i disavanzi. Negli ultimi 5 anni, dal 2008 al 2013, l’esborso è aumentato di ben 39 miliardi cioè il 53% in più. Un aumento monstre pari all’8% cumulato annuo. E questo in tempi di inflazione ai minimi storici e di profonda flessione del Pil.
Il dramma è che secondo le stime del ministero dell’Economia la spesa non conoscerà soste neanche nei prossimi anni.
Altri 10 miliardi al 2016
La nota tecnica del Mef prevede una mole di trasferimenti pubblici (dallo Stato) alla previdenza che non smetterà di salire. Per il 2014 le stime parlano di 119 miliardi che saliranno a 122 miliardi a fine 2016. Rallenta il passo di marcia, rispetto agli ultimi 5 anni, ma non c’è capitolo di spesa pubblica che aumenti a questi ritmi. Il tema di fondo è che non si attenua il forte disavanzo tra le entrate (cioè i contributi versati da imprese e lavoratori) e le uscite per pensioni e assistenza dalle casse dell’Inps, ora che ha incorporato anche l’Inpdap (il dissestato ente dei dipendenti pubblici). E dato che le pensioni vanno pagate e che l’Inps non può fallire, il buco tra entrate e uscite lo deve sanare lo Stato. Basti pensare che solo nel 2012 le entrate da contributi si sono fermate a 208 miliardi, mentre le uscite per le prestazioni sono state di 295 miliardi.
Ecco qui il profondo divario che non consente oggi al sistema della previdenza di autofinanziarsi. Certo gran parte di questo buco deriva dall’assistenza. Sono le pensioni sociali; le indennità varie; le reversibilità ai superstiti. Ma anche le invalidità civili che da sole costano allo Stato oltre 17 miliardi. Tutte prestazioni che non hanno alle spalle contribuzioni versate e quindi del tutto a carico del bilancio pubblico.
L’assistenza costa da sola 72 miliardi. Cottarelli ha spazi di manovra in questo mare magnum. Ma la verità è che anche le gestioni previdenziali soffrono disavanzi strutturali. L’ex Inpdap da sola perde ogni anno, da tempi lontani, quasi 9 miliardi. È lo sbilancio tra contributi, erosi oggi dal blocco del turn over, e pensioni che tendono a salire. Rispetto alle pensioni dei lavoratori privati poi la media dei trattamenti pubblici è più alta di un 30%. Ovvio che in queste condizioni lo squilibrio si aggraverà. L’ex Inpdap non è un caso isolato. Quasi tutte le gestioni previdenziali sono infatti in pesante squilibrio sull’autofinanziamento. I contributi versati non bastano a fronteggiare le spese (crescenti) per le pensioni.
Basti pensare per tutto l’Inps che il valore delle pensioni pagate è stato di 265 miliardi a fronte di entrate da contributi per 208 miliardi. Sono gli effetti che dureranno a lungo, non solo della crisi, ma anche dell’onerosissimo sistema di calcolo retributivo. E lì Cottarelli può intervenire.
Il Sole 24 Ore – 14 gennaio 2014