Lombardia punta su ambiente, internazionalizzazione e previdenza complementare, il Veneto su protezione civile, formazione e infrastrutture
Le Regioni Lombardia e Veneto chiederanno allo Stato, qualora il risultato del referendum del 22 ottobre sull’autonomia fosse positivo, di avviare il percorso per gestire tutti i 20 settori elencati dall’articolo 117 della Costituzione italiana e descritti come «materie concorrenti». Ma a ben guardare Lombardia e Veneto hanno ciascuna il proprio elenco di priorità. In prima battuta il governatore lombardo Roberto Maroni intende concentrarsi sulla tutela dell’ambiente (bonifiche incluse), internazionalizzazione e previdenza complementare, a cui si aggiunge anche l’innovazione e la ricerca; per il governatore veneto Luca Zaia le prime cose da chiedere sarebbero la protezione civile, la formazione e il lavoro, la politica industriale, con tutto ciò che vi ruota attorno, tra cui le infrastrutture.
In particolare in Lombardia viene sottolineato che l’internazionalizzazione è necessaria considerando che la Regione da sola produce il 31% dell’export italiano (111 miliardi) e che, se fosse tra le competenze regionali, la ricerca rappresenterebbe il 4,5% del Pil, come nelle aree più evolute dell’Europa.
Dunque due situazioni e due obiettivi simili ma non uguali, così come i quesiti espressi sulla scheda del referendum – più generale in Veneto, più circoscritto in Lombardia -; le modalità di voto – elettronico in Lombardia e tradizionale in Veneto -; la necessità di quorum – necessario in Veneto con un minimo del 50%, assente in Lombardia.
Ad accomunare le due Regioni è però l’obiettivo finanziario: entrambe chiedono che almeno la metà del residuo fiscale (la differenza negativa tra quanto un territorio versa allo Stato e quanto riceve) rimanga a livello locale. Si parla di 24 miliardi (su 56) per la Lombardia e di 8 miliardi (su 15,5) per il Veneto.
Gli effetti pratici
Il referendum non avrà effetti immediati. Nell’idea dei politici della Lega Nord, che lo hanno promosso, servirà a dare forza politica alle Regioni che si appresteranno a intavolare una trattativa politica con lo Stato. Il percorso è quello tracciato dall’articolo 116 della Costituzione. Il Consiglio regionale voterà un documento con le azioni da intraprendere, redatto e sottoscritto da un gruppo di stakeholders locali provenienti dalla politica, dal settore giuridico e da quello economico. Verranno poi avviati incontri con la presidenza del Consiglio dei ministri, e il testo di legge che ne conseguirà dovrà essere sottoposto al voto (a maggioranza assoluta) di Camera e Senato, in doppia lettura. «Avere in mano l’esito di un referendum fa la differenza – sottolinea Gianni Fava, coordinatore della Lega del referendum in Lombardia – darà forza ai governatori e maggiore significato politico. Il Parlamento non potrà esprimersi contro la volontà di un popolo».
Quanto al dato sull’affluenza, che due giorni fa il governatore Maroni ha ridimensionato ad un possibile 34%, Fava ne ribadisce il valore positivo: «Sono i numeri dell’affluenza attuale alle urne, anche in Emilia Romagna le elezioni del presidente della Regione è avvenuto con questa percentuale. Alle amministrative di Milano siamo andati intorno al 45%, non ci sarebbe da sorprendersi e sarebbe comunque un risultato legittimo».
Intanto Maroni ieri ha chiesto al premier Paolo Gentiloni di chiudere la trattativa con la Regione prima delle politiche, «evitando che diventi materia di campagna elettorale da usare contro di lui e contro la sinistra».
Sara Monaci – Il Sole 24 Ore – 20 ottobre 2017