«Proponendo una sfida Nord-Sud sulla pizza si accende una miccia, attenzione» scherza Denis Lovatel, della pizzeria «da Ezio». Lovatel la tensione l’ha percepita dal vivo, durante le ultime premiazioni del Gambero Rosso: la sua pizzeria di Alano di Piave, nel Bellunese, serve la miglior pizza a degustazione d’Italia.
La sfida in questione è quella lanciata dal presidente del Veneto Luca Zaia che, non pago dei primati gastronomici indiscussi di baccalà e tiramisù, sembra vagheggiare anche un brand «pizza veneta», dichiarando che «sulla pizza siamo migliori dei napoletani».
All’ombra del Vesuvio non l’hanno presa tanto bene, con Antonio Pace, presidente dell’associazione Verace Pizza Napoletana, che tuona «mai ci saremo permessi di sfidare i veneti sul baccalà alla vicentina o sulla polenta con gli osei e mi stupisce che avvenga il contrario con la pizza».
A gettare acqua sul fuoco, con appassionate tirate sulla differenza che corre fra la pizza napoletana e la «pizza del nord», sono proprio i pizzaioli, da Belluno a Napoli. «Le pizze sono simbolo mondiale di convivialità, di pace – osserva Lovatel – non ha senso metterle in competizione». Gli fa eco dalla Campania il napoletano Ciro Oliva, della pizzeria «Concettina ai tre santi», premiato nella categoria miglior pizza dell’anno: «Le sfide le lascio allo sport, mescolarsi con altre tradizioni arricchisce il prodotto. Fra Nord e Sud non ci deve essere sfida, bensì unione. La pizza è un prodotto made in Italy che non dobbiamo farci scappare dalle mani. Motivo per cui l’unico discrimine è la qualità».
Se l’associazione Verace Pizza Napoletana ricorda che è stato stilato un vero e proprio disciplinare per tutelare un prodotto che vanta più di 300 anni di storia, chi sta in prima linea davanti al forno a legna sembra pensare che ci sia posto davvero per tutti. «Le polemiche fini a sé stesse non servono a nessuno – commenta Simone Padoan della pizzeria I Tigli di San Bonifacio, nel Veronese, che anni fa, da creatore della «pizza degustazione», è stato al centro della prima querelle sulla «pizza moderna» – se invece il dibattito sulla galassia dei lievitati è costruttivo, fa bene a tutti». Ecumenismo dell’arte bianca, insomma.
Però un pizzico d’orgoglio regionale resta. «A fine settembre – racconta Lovatel – i 18 migliori pizzaioli italiani si esibiranno a Milano per ChePizza!, la kermesse organizzata dalla rivista La Grande Cucina. Siamo in cinque veneti, una bella soddisfazione». Oltre a Lovatel e Padoan, ci saranno anche Renato Bosco di Saporè (San Martino Buonalbergo nel Veronese), Alberto Morello di Gigi Pipa (Este, Padova) e Gianni e Giulia Dodaj di San Donà di Piave (Venezia), guru della pizza da asporto di qualità. «L’ho detto di recente anche al Times di Londra – spiega Lovatel – al Nord siamo più portati per la pizza che tutti chiamano gourmet, di fatto l’abbiamo inventata noi. Ci sono però radici storiche, quella napoletana è nata per essere piegata a libro e mangiata per strada, al nord la pizza si è diffusa come sinonimo di convivialità, quindi, per essere gustata più a lungo, doveva essere più croccante. Il movimento si è sviluppato anche grazie al molino Quaglia nella ricerca delle farine, cui abbiniamo farciture da ristorazione. Sono sfaccettature diverse del prodotto pizza, una sfida non avrebbe senso. Collaboriamo, piuttosto, per farla diventare patrimonio dell’Umanità».
Padoan, veterano della nouvelle vague veneta, osserva: «Chi è più attempato ha idee più legate alla tradizione, chi è più giovane ha più coscienza del fatto che tutto ciò che è tradizione ha vissuto una fase di innovazione. È logico che i napoletani vogliano difendere la pizza classica. La pizza è quella napoletana, un cibo di strada, nato povero, per tutti. Questo è la pizza nell’immaginario collettivo ma ormai si apre un mondo: dalla pizza alla romana croccante alle sperimentazioni del Nord nate dalla pinza salata dei nostri nonni. L’arte bianca è un universo complesso, ampio e bellissimo, che ognuno cerca di interpretare con un’idea personale. È quindi sbagliato cercare di definire cosa è meglio o peggio».
Il valore vero della pizza, per il napoletano Ciro Oliva, è la capacità di attrarre e avvicinare il «popolo». «La nostra forza è il popolo – scandisce Oliva -. A Napoli abbiamo l’abitudine di mangiarla due-tre volte a settimana. L’alleanza con i mugnai è uno degli ingredienti per migliorare il nostro prodotto, con amore. Così si riscoprono i sapori dell’infanzia, della genuinità. Sì, mi hanno premiato, ma per me il premio vero è far conoscere il mio quartiere, il Rione Sanità, attraverso il mio prodotto di qualità. Certo, la pizza possiamo esportarla in tutto il mondo ma è qui che tira un’altra aria, che c’è un altro fascino, c’è il sapore della nostra natura. Per questo noi non faremo mai la polenta come la fanno i veneti».
Intanto, ad Alano di Piave, Lovatel segue le stagioni e propone zucca al forno, guanciale di suino nero dei Nebrodi e polvere di liquirizia senza dimenticare la pizza col baccalà dissalato con salsa di piselli, germogli e carbone di olive nere. Padoan segue non solo le stagioni ma anche il proprio stato d’animo e si accalora: «Le stagioni stanno impazzendo e così i nostri piatti – spiega – l’estate sembra non voler finire allora ecco una pizza con cozze sarde, battuto di pomodoro a crudo, zucchine saltate alla julienne e il ridotto delle cozze, in bocca resta lo iodio del mare». Bon appétit.
Martina Zambon – Il Corriere del Veneto – 25 settembre 2016