di Michele Bocci e Giuliano Foschini, La Repubblica
Gli esperti insistono perché non si abbassi la guardia. Mentre i No Vax sfruttano la gigantesca mole di dosi scadute e da distruggere per la loro campagna contro la vaccinazione. Ma così rischia anche quella per l’influenza
Treno, interno giorno. Nella carrozza 7 di un convoglio ad Alta velocità da Roma a Milano, un signore di una cinquantina d’anni comincia a tossire. La prima, una seconda, una terza volta. Il suo vicino di posto si alza spazientito: «E basta! Metta almeno una mascherina», dice, cercando posto ancora un po’ più avanti. Lo ferma una signora di mezza età: «Si vergoni!» gli urla. «Ancora con queste mascherine? Ancora con la truffa. Vi dovete vergognare! Vergognare! ». Si alza un altro: «No, si deve vergognare lei, i miei genitori sono morti per colpa di quelli come lei che non mettevano le mascherine». La temperatura sale in carrozza. Volano parole grosse. Interveniene il capotreno. Poco più dietro, il signore da cui tutto è partito fa ancora qualche colpo di tosse. Un ragazzo, gentile, gli porge delle caramelle. «Sono uno specializzando. Si faccia vedere, magari dal medico di base. E si vaccini».
La cronaca di una giornata senza pretese da pendolari sembra uno script di uno spot da girare in un momento particolarmente delicato per il nostro Paese. Per almeno quattro ragioni, ben sintetizzate dalla carrozza numero 7: il Covid sta tornando, in forma diversa e per fortuna, grazie ai vaccini e a quello che ci è accaduto, meno aggressiva. Gli italiani però non vogliono più vaccinarsi anche perché le parole della politica non sono quelle dello specializzando: nessuno ha voglia più di parlare di Covid, nessuno vuole spingere alla vaccinazione anche perché chi è oggi al governo non ha mai avuto parole chiare sull’argomento. Né prima, nel pieno dell’emergenza, figuriamoci ora. Ora — e veniamo al terzo punto — che certo non esiste un allarme, ma purtroppo sembra che nessuno abbia imparato dal passato: se arrivasse una nuova pandemia ci troverebbe ancora una volta impreparati, magari con qualche carta a posto in più, ma sempre senza una logistica accettabile per rispondere a un evento del genere. Mancano strutture, scorte, della prima ondata ci sono rimasti soprattutto gli sprechi. Anzi, non solo: è rimasta attaccata ancora l’eversione antiscientifica dei No Vax, di chi, anche di fronte all’evidenza, preferisce guardare al dito. E non alla luna. Anche perché anche quella, hai visto mai, è come la terra è piatta.
Partiamo quindi da oggi. E da un dato: gli italiani non vogliono più vaccinarsi contro il Covid. L’anno scorso sono stati fatti circa 6 milioni di vaccini contro il coronavirus alle cosiddette categorie a rischio, cioè over 60 e persone con determinate patologie. Mentre quest’anno, in oltre un mese di campagna, non siamo nemmeno arrivati a un milione di somministrazioni: i dati dicono infatti che abbiamo raggiunto circa le 860mila dosi (e nell’ultima settimana ne sono state fatte meno rispetto a quella precedente). La prospettiva è quindi molto grigia. Come mai? Che sta succedendo?
La campagna di quest’anno non viene di certo spinta con decisione da un governo che fa di tutto perché non si parli troppo della malattia, che effettivamente circola molto meno, e soprattutto dei medicinali che vengono somministrati per prevenirla. Ci sono forze politiche, Lega in primis ma in parte il ragionamento vale anche per Fratelli d’Italia, che in campagna elettorale hanno lavorato per prendersi i voti del mondo No Vax e hanno attaccato tutte le decisioni dei governi Draghi e Conte sul Covid e appunto sui vaccini. Adesso devono segnare una differenza, come dimostra l’inchiesta parlamentare sulle politiche adottate durante la pandemia, e appunto la posizione blanda sui vaccini. Certo, il ministero alla Salute ha fatto pure uno spot per invitare fragili e anziani alla vaccinazione ma non è molto “aggressivo” e comunque ha circolato pochissimo, per due o tre settimane. Niente a che vedere con quello di Pfizer, che ha coinvolto Michele Placido. Il problema, comunque, non è nel dicastero guidato da Orazio Schillaci, che è un medico e quindi conosce bene l’importanza della protezione, ma in un pezzo di maggioranza. Addirittura, il capo della Prevenzione, Francesco Vaia, aveva proposto di aprire un centro vaccinale nella sede del ministero di Lungotevere Ripa, per replicare un po’ quello che faceva ai tempi dello Spallanzani, dove durante il Covid ha lui stesso somministrato il vaccino a un bel pezzo di mondo politico, e non solo, a partire dall’attuale premier Giorgia Meloni. Gli hanno detto che non era proprio il caso anche se lui sostiene ancora che sia stato un errore non farlo. Risultato: centri chiusi e pochissimi vaccinati, con coperture che vanno addirittura sotto l’1 per cento.
Le grandi Regioni che vanno meglio sono, nell’ordine, la Toscana, l’Emilia- Romagna e la Lombardia, dove comunque è stata coperta una parte molto ridotta della popolazione individuata come a rischio, tra il 7 e il 9 per cento. Poco sopra lo zero ci sono Campania, Sardegna, Calabria, Sicilia, Basilicata e Molise. Il Lazio, cioè una delle realtà locali che un tempo aveva dati di copertura tra i migliori, è al 2,2. La media italiana è del 4. In generale il quadro è deprimente.
150 mila morti evitate in un anno
Molte Regioni hanno già allargato a tutti i maggiorenni, quindi anche alle persone sane, la possibilità di richiedere il vaccino contro il Covid per utilizzare almeno una parte delle tante dosi che si ritrovano in magazzino. Il tutto avviene mentre la vaccinazione contro l’influenza, malattia che inizia a diffondersi proprio in questo periodo, va meglio. Già l’anno scorso i vaccinati sono stati 12 milioni, cioè il doppio di coloro che si sono protetti contro il coronavirus. Quest’anno la distanza tra i due dati sarà certamente molto superiore, se si va avanti di questo passo. Ormai da due anni, in autunno, il ministero consiglia a medici di famiglia e farmacisti di proporre la doppia somministrazione nella stessa seduta. Per questo alcuni esperti temono che il disamore per l’anti Covid si possa estendere anche all’antinfluenzale.
Il successo dei vaccini è stato mondiale poiché sono stati in grado di cambiare la storia della pandemia. L’Istituto superiore di sanità (Iss) ha fatto uno studio su quali risultati abbiano prodotto nei mesi successivi alla loro distribuzione agli Stati. I dati riguardano il periodo compreso tra la fine del 2020, quando le dosi consegnate servirono più che altro ad iniziare simbolicamente la campagna nell’anno in cui si era presentato il coronavirus, e il 31 gennaio del 2022. Ebbene, in questo periodo di tempo, si è calcolato, i vaccini hanno evitato 8 milioni di casi, mezzo milione di ospedalizzazioni, più di 55mila ricoveri in terapia intensiva e circa 150 mila morti. Osservando i soli decessi, il 72% di quelli evitati riguarda persone dagli 80 anni in su, il 19% cittadini nella fascia di età tra 70 e 79 anni, il 7% in quella 60-69 e il 3% sotto i 60 anni. Oggi, con la malattia che è molto cambiata, e pure con i farmaci antivirali a disposizione, i benefici dell’utilizzo del vaccino sarebbero comunque molto diversi ma, come spiegano tutti gli esperti, avrebbero un’utilità più, mirata a chi se viene infettato rischia per ragioni di età o di salute.
I perché della bassa diffusione del vaccino
Come mai la vaccinazione contro il Covid è al palo? A dare alcune chiavi di lettura sono due esperti, che avevano un ruolo nei governi precedenti ma che sono ancora molto ascoltati e stimati nel mondo scientifico, assai meno presente di un tempo nel ministero alla Salute. Cioè Walter Ricciardi, ordinario di Igiene alla Cattolica, già presidente dell’Iss, e Gianni Rezza, già all’Istituto e pure alla guida della Prevenzione del ministero e oggi professore al San Raffaele di Milano. Entrambi hanno qualcosa da dire sul modo nel quale viene portata avanti la campagna. «Prima di tutto — dice Ricciardi — non c’è una promozione attiva della vaccinazione da parte del ministero. Non vedo programmazione, organizzazione e gestione del sistema, tutte azioni fondamentali per ottenere dei risultati», spiega Ricciardi, che porta l’esempio positivo della Lombardia. «Quella Regione ha un assessore che ci crede e ha messo in moto un meccanismo organizzativo ben strutturato, perciò funziona. Perché se devi proteggere i fragili non ti affidi allo spontaneismo delle persone, quello non basta. Bisogna organizzare una promozione attiva, cosa che manca in questo momento nel Paese». Gli italiani, tuttavia, hanno meno paura del virus, che provoca una malattia molto più blanda di un tempo. «E infatti bisognerebbe far capire che in realtà i rischi ci sono comunque, e non riguardano solo la gravità dell’infezione. Ad esempio, si parla poco di long Covid. In Inghilterra e Francia misurano la diffusione di questa patologia. Ebbene, in quei Paesi riguarda 2 milioni di persone». Sull’influenza, Ricciardi aggiunge che, anche per quella, le coperture (che di solito raggiungono il 55-58% delle persone a rischio) sono troppo basse, visto che secondo l’Oms dovrebbero arrivare come minimo al 75%. «L’inverno non sarà facile con malattia stagionale, Covid e altri virus respiratori, come il sinciziale, che colpisce i bambini, e quelli che danno polmoniti».
Gianni Rezza vede una stanchezza vaccinale da parte delle persone, sostenuta anche dal fatto che «da quando circola Omicron il virus è meno aggressivo». Rezza fa notare che «c’è anche un po’ di ambiguità nei messaggi. Invece è sempre bene dire la verità in trasparenza e con oggettività. Eccola: di certo c’è una immunità a livello di popolazione, tra persone vaccinate anche più volte e persone che hanno avuto la malattia, poi è vero che Omicron ha una virulenza intrinseca inferiore rispetto alle varianti arrivate prima. Però è anche indubbio che nelle persone debilitate, anziane, che magari non sono mai state infettate dal coronavirus, la malattia può essere pericolosa. E va ricordato che dal punto di vista del rischio non è la stessa cosa avere 60 anni, oppure 75, o addirittura 90. Non si possono lanciare messaggi generici, dicendo che tanto è meno grave di un’influenza, cosa non vera, e allo stesso tempo invitare a vaccinarsi. Bisogna dire che il virus non è più lo stesso, ma per anziani e fragili ha ancora potenzialità aggressiva».
Rezza, che ha da poco lasciato il ministero, ha vissuto sia la gestione di Roberto Speranza che quella di Orazio Schillaci. «Differenze riguardo alle politiche anti Covid? È difficile fare un confronto perché i periodi sono completamente diversi — dice diplomaticamente — Non so quale sarebbe stata la reazione di questo esecutivo nel periodo della pandemia». Per l’infettivologo epidemiologo, può avere un peso sulla scarsa adesione all’anti Covid «la forte campagna denigratoria sui vaccini. E poi non dimentichiamo un altro punto. L’accesso alla vaccinazione non oggi è semplice com’era una volta. Quando sei un po’ indeciso, se è facile accedere alla somministrazione vai a farla altrimenti rinunci. Un tempo esistevano gli hub o comunque c’era l’accesso diretto. Oggi bisogna prenotare dal medico, che peraltro deve programmare bene le vaccinazioni perché continuano ad arrivare fiale da sei dosi di vaccino, che vanno fatte tutte insieme ». Infine, conclude Rezza, bisogna tenere conto della capacità organizzativa delle singole Regioni. «Quella incide molto nell’accesso alla vaccinazione e quindi nella sua diffusione».
Per l’Italia 381 milioni di dosi
Il crollo delle vaccinazioni non è una buona notizia per due motivi. La prima, evidentemente, è di natura sanitaria: si rischiano troppe malattie gravi, soprattutto nella popolazione più fragile. Ma non lo è perché è in corso uno smantellamento della struttura d’emergenza che era stato faticosamente, e dispendiosamente, costruito nel corso della pandemia.Qualche esempio: la catena del trasporto vaccini ha sicuramente funzionato. E lo ha fatto sin dall’inizio, quando l’allora commissario Domenico Arcuri ebbe l’intuizione di affidare il trasporto a Sda (Poste Italiane): in pratica, appena arrivate le dosi, era la società a portarle, facendo attenzione alla cosiddetta catena del freddo, fino ai 100 punti di distribuzione “dislocati in tutto il territorio nazionale mentre — si legge nella relazione al Parlamento — il trasporto locale, dove necessario, è stato curato dalle strutture regionali”. Bene: di tutto questo sforzo logistico però non è rimasta traccia così come non è chiaro che fine abbia fatto il deposito nazionale e tutte le apparecchiature che erano state impiegate per stoccaggio e conservazione e i relativi sistemi informativi. Smantellati anche, dalle singole regioni, i gruppi, che i Dipartimenti di prevenzione avevano messo su, di vaccinatori: è vero che molto di quel personale è stato stabilizzato, grazie anche a una norma ad hoc predisposta dagli ultimi due governi. Ma è altrettanto vero che di quello che era stato, ne resta traccia soltanto negli archivi.
Non si tratta di un dettaglio: aver smantellato il tutto ci rende assai più esposti a un ritorno di una nuova pandemia. Non si è continuato a investire sulle aziende in grado di produrre vaccini, quando pure si era presentata una grande occasione, ed è in grave crisi il progetto dell’hub antipandemico di Siena, avviato dal vecchio governo per creare un centro dove si ricercano soluzioni per essere pronti in casi di nuove pandemie ma al momento congelato dall’esecutivo guidato da Meloni. Si è abbandonata, come si è visto, la strada della logistica. E, più in generale, non si parla più della produzione dei dispositivi di protezione individuali (anzi: i magazzini sono pieni delle dosi vecchie e scadute, per cui si pagano milioni di euro e di cui il governo non riesce a liberarsi: continua a pubblicare bandi per regalarle, ma nessuno risponde). O dei potenziamenti delle terapie intensive: da febbraio del 2020 a marzo del 2021 si era passati da 5.179 a 9.018 con la possibilità di attivarne altri 1.667, grazie a macchinari acquistati. Da allora non si è fatto più niente: persa nei meandri della burocrazia la promessa di un “potenziamento della rete ospedaliera” di cui c’è traccia in atti parlamentari o nella relazione del commissario Francesco Figliuolo, a oggi i posti di terapia intensiva negli ospedali italiani sono poco più di novemila e per un incremento ci si affida ai fondi del Pnrr.
Tutta questa improvvisazione, come sempre accade, ha un’altra faccia della medaglia: c’è il rischio e c’è la certezza dello spreco. Lo dimostra quanto accaduto durante il Covid quando, proprio per la mancata preparazione, sono stati spesi inutilmente (in realtà inevitabilmente) centinaia di milioni di euro in più rispetto al dovuto. E stiamo pagando ancora oggi i conti. Prendiamo appunto la questione vaccini. Il nostro piano pandemico non era aggiornato. Non esistevano linee guida serie su una campagna vaccinazione da affrontare. E così, nel pieno dell’emergenza, quando si è intravista la scialuppa del vaccino arrivato in tempi record (cioè dall’inizio del 2021), ci si è affannati per afferrarla prima possibile.
Tutti i Paesi occidentali hanno chiesto la loro quota di dosi, prima di tutto per proteggere le persone fragili, che stavano morendo a migliaia a causa del virus pandemico contro il quale a quei tempi non c’era praticamente cura. La fretta ha reso necessario fare delle scommesse. Sono cioè stati firmati contratti con praticamente tutti i produttori, pure con quanti non erano arrivati in fondo alle sperimentazioni, come l’italiana Reithera, alla quale sono andati 150 milioni di euro per 80 milioni di vaccini mai prodotti. Si è fatta qualsiasi cosa pur di essere certi che, se qualche medicinale si fosse rivelato poco efficace o avesse avuto problemi produttivi che impedivano di distribuire un numero adeguato di dosi, comunque una campagna si poteva avviare. L’Europa ha fatto da intermediario e si è occupata degli acquisti. E i vari Paesi hanno chiesto la loro quota. L’Italia ha opzionato il 13,46% del totale delle dosi. Come noto, i prezzi pagati alle industrie, che molto spesso avevano potuto accelerare le loro ricerche e sperimentazioni proprio grazie ai fondi degli Stati, sono stati secretati, circostanza che ha provocato molte polemiche.
Il risultato è che il nostro Paese ha ordinato e pagato un numero enorme di dosi, che a questo punto è finalmente possibile conteggiare con precisione. Sono 381 milioni, cioè in media più di 6 per ogni cittadino. Nel conto ci sono anche una quarantina di milioni di vaccini che devono ancora essere consegnati, perché destinati alle coperture dei prossimi anni. La spesa dell’Italia è stata di 4 miliardi e 461 milioni di euro, ai quali si aggiungeranno 600-800 milioni per pagare appunto le forniture future. In tutto si salirà quindi a oltre i 5,2 miliardi, con una media di circa 13 euro per ogni dose di vaccino. La cifra è alta, ma bisogna sempre tenere a mente i valori economici che entrano in campo quando si parla di sanità. Il fondo nazionale che finanzia questo settore è di circa 130 miliardi l’anno e per i vaccini, che come spiegato hanno ridotto in modo importante ricoveri e decessi, si parla di una spesa da spalmare su più anni.
I prezzi dei medicinali usati per la prevenzione del Covid sono molto diversificati, anche a seconda della tecnologia utilizzata dai vari produttori e pure dai prezzi che è riuscita a strappare l’Europa nel corso di trattative che non sono state facili perché svolte in una fase molto critica, con il mondo travolto dalla pandemia e i cittadini che cercavano aiuto. Il fornitore principale d’Europa e quindi del nostro Paese è la Pfizer, che ha sbaragliato la concorrenza, almeno in fatto di volumi distribuiti, grazie al suo vaccino mRNA. L’ultimo bando che si è aggiudicata l’azienda americana risale alla fine del 2021 ed è per l’Italia vale 2 miliardi e 751 milioni di euro per 223 milioni di dosi (quindi 12 euro a dose ma il prezzo nelle ultime partite è arrivato a 20). Più cara Moderna, dalla quale sono state comprate 61 milioni di dosi al costo di 1,5 miliardi, cioè a quasi 25 euro a dose.
Oltre 80 milioni di vaccini da buttare
Al ministero alla Salute si stanno interrogando su come risolvere il problema dei vaccini di troppo. Nei magazzini, del governo e delle Regioni, ci sono in questo momento 46 milioni di dosi scadute, che andranno trattate come rifiuti speciali ospedalieri. Ma non è finita qui. Presto se ne aggiungeranno altre, visto che nei depositi delle amministrazioni locali e in quelli nazionali ci sono, a detta del direttore della Prevenzione Francesco Vaia, rispettivamente 13,7 milioni e 27,5 milioni di dosi che non vanno più bene, anche se ancora utilizzabili. Si tratta del tipo di vaccino che veniva fatto fino al settembre scorso, cioè prima che arrivasse quello adattato a Omicron XBB.1.5, più efficace contro le varianti, che viene utilizzato per la campagna vaccinale di questo autunno-inverno. Si è provato a donarle, come fatto in passato con altri lotti non utilizzati, ma non le vuole nessuno, proprio perché ormai sono “vecchie”. Quando anche quelle scadranno, il numero di dosi da smaltire salirà alla ragguardevole cifra di 87 milioni. I costi per l’eliminazione «saranno comunque più bassi rispetto a quelli di conservazione», chiosano dal ministero alla Salute, sottolineando che si è speso molto per acquistare macchinari per il raffreddamento. I vaccini a mRna devono essere tenuti a basse temperature, quindi nei magazzini sono necessarie attrezzature speciali e costose. Riguardo allo smaltimento, verranno chiesti anche suggerimenti alle industrie farmaceutiche.
Ma lo spreco dei vaccini ha numeri ancora più alti rispetto a quelli già importanti delle dosi che devono essere distrutte. Del resto, le procedure di acquisto sono tutte partite quando ancora regnava una grande confusione nel fronte della lotta al Covid e, quindi, si decise di comprare non solo tutte le dosi disponibili, ma anche quelle sulle quali ancora non c’era ancora la certezza dell’arrivo. L’Italia ne ha acquistate, come spiegato, 381 milioni. Di queste, 38 devono ancora arrivare, sono quelle che serviranno tra quest’anno e il 2026 per fare le campagne annuali. A osservare come sta andando nel 2023, con meno di un milione di somministrazioni fatte fino ad ora, probabilmente il numero si rivelerà troppo alto. Ma questo sarà un problema da affrontare in futuro.
Al netto di quelli per i prossimi anni, dunque, i vaccini comprati dall’Italia sono circa 340 milioni. Di questi, circa 100 milioni non sono mai arrivati. Proprio perché erano troppi, si è deciso di non farseli consegnare e, invece, di donarli. Circa 70 milioni di dosi di Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson sono andate nei mesi e anni scorsi, attraverso il progetto Covax delle Nazioni unite e in piccola parte tramite accordi bilaterali, in Egitto, Uganda, Angola, Costa d’Avorio, Tanzania, Vietnam, Iraq, Yemen, Indonesia, Palestina, Pakistan, solo per citare alcuni Stati. Il resto degli ordini, circa 30 milioni di dosi, sono stati proprio cancellati. Quindi, fino ad ora, sono effettivamente arrivate nei magazzini italiani circa 240 milioni di dosi di vaccino. Di queste, 145 milioni sono state somministrate. Le altre, circa 95 milioni come visto, sono quasi tutte da cestinare. Oppure, in piccola parte, sono state donate.
La galassia No Vax
Quella dei vaccini da buttare è diventato uno degli argomenti preferiti dai gruppi No Vax che, passata l’emergenza, non hanno smesso di esistere. Anzi. I canali Telegram, alcuni influencer da milioni di “visite” su Tik Tok o su Instagram, sono sempre più attivi. Pronti a mischiare argomenti che, apparentemente, sono slegati tra di loro. Ma che invece — come hanno osservato da tempo i nostri servizi di Intelligence — sono legati da un filo comune: la propaganda antioccidentale. Ecco così spuntare nelle stesse pagine i “crociati anti siero”, le carezze alla Russia («mentre voi eravate chiusi in casa durante il Covid, io cantavo nei karaoke di Mosca», racconta un ragazzo italiano, in uno dei video più virali), le recriminazioni anti inflazione, gli insulti ai sindacati che annunciano gli scioperi, tutto insieme in un immenso blob anti sistema. Qualche esempio: «Dovrebbero sciogliere immediatamente quell’organizzazione a delinquere che è l’Oms», dice l’attore di terza fascia, con milioni di like. O ancora: «C’è stata un enorme aumento di morti improvvise tra i giovani, e per legge è vietato effettuare l’autopsia». Proprio la bufala delle morti improvvise, con un presunto aumento di casi dopo il tempo della vaccinazione, è uno degli argomenti più utilizzati dai gruppi organizzati di No Vax che chiedono agli iscritti di rilanciare il messaggio tutte le volte che ce n’è l’opportunità. E così ogni lutto che finisce sui giornali è l’occasione orrenda per rilanciare la propaganda. È successo persino con l’assassinio di Giulia Cecchettin che — il testo è stato rilanciato sul gruppo Telegram “noi i No vax, i complottisti”, 11mila iscritti, tra un video di Di Battista e Orsini sul conflitto ucraino e post contro le banche usuraie — «ci avevano detto che era stata uccisa a coltellate e invece ora non è vero. Due cose sono sicure in questa storia: ci hanno mentito e vogliono utilizzare questa morte per promuovere la venefica agenda femminista». Deliri, insomma. Che però camminano su quel confine sottile tra follia ed eversione. A chi fanno comodo? Chi li amplifica? Chi li manovra? Si legge nell’ultima informativa dei Servizi: «Sul piano nazionale è stata rilevata all’interno delle principali piattaforme social una saldatura tra i profili “no-vax” e “no-pass” e la messaggistica pro-Russia sulla crisi in atto tra Mosca e Kiev, attuata mediante il rilancio e la “ri-condivisione” di contenuti originati da media e organi istituzionali vicini al Cremlino, al fine di orientare l’opinione pubblica italiana». «Quanto ai vettori — scrive il nostro Dipartimento di sicurezza — la disinformazione russa è stata alimentata da: singoli blogger o account di social media, russi o filorussi, inseriti in una rete di connessioni a livello internazionale. La messaggistica di tali soggetti è veicolata, in prima battuta, in lingua russa e rivolta a un pubblico russofono; successivamente viene rilanciata e riproposta in più lingue tanto all’interno quanto all’esterno del nostro Paese, anche attraverso saldature con attori nostrani della disinformazione, che operano quale cassa di risonanza». A muoversi, continuano, ci sino stati poi «istituzioni russe e mezzi di informazione ufficialmente riconducibili al Cremlino. In Italia, come nel resto della Ue, Russia Today e Sputnik sono stati oscurati, pertanto, per continuare a disseminare narrazioni disinformative, quei media hanno aperto molteplici canali sull’applicazione di messaggistica Telegram». Infine, e qui veniamo più specificatamente alla galassia No Vax, «una variegata rete di soggetti e movimenti attestati su ideologie “antagoniste”, che nel contesto italiano si trovano a convergere con le comunità complottiste».