La valutazione di sostenibilità alimentare passa dall’analisi ambientale di tutto il processo produttivo. Il caso dell’acido Trifluoro-acetico (TFA) nelle acque di falda e potabili.
Pesticidi e farmaci veterinari, in seguito a degradazione, rilasciano l’acido Trifluoroacetico (TFA) nell’ambiente. Tale acido è persistente e non più biodegradabile, e progressivamente raggiunge le acque di falda. Al momento i sistemi di potabilizzazione non lo rimuovono facilmente. Data la tendenza all’aumento delle sue concentrazioni ambientali, è necessario limitare/sostituire i pesticidi fluororati.
La legislazione europea sui pesticidi e sull’acqua contempla gli strumenti necessari per la protezione delle acque dagli agenti inquinanti, protezione che deve essere garantita dalle autorità pubbliche. L’acido trifluoroacetico, gruppo chimico alla base della definizione di sostanza per e poli-fluoroalchilica, è contenuto in svariati pesticidi utilizzati in agricoltura, e risulta principalmente prodotto dalla loro degradazione, e in subordine dal ciclo di vita dei composti PFAS non pesticidi, in fase di sintesi, utilizzo, e smaltimento. Le concentrazioni di TFA in costante aumento, in pospettiva potranno raggiungere livelli tossici per il biota e l’uomo, oltre ad essere ritenuti oggi un driver per i cambiamenti climatici.
Da qui la proposta di riduzione nella produzione ed uso, se non sostituzione e divieto, dei pesticidi PFAS, che nelle zone rurali rappresentano la principale causa di presenza di TFA nella falda, secondo un recente rapporto dell’Agenzia federale tedesca per l’ambiente.
Il TFA è l’emblema di una sostanza chimica persistente al momento difficilmente biodegradabile. il TFA non può essere depurare dall’acqua utilizzando uno qualsiasi dei processi di trattamento dell’acqua potabile, e la sua caratterizzazione tossicologica è ancora in definizione, non dando per scontato che i PFAS a catena ultra-corta siano innocui. Delle oltre 10.000 sostanze chimiche che rientrano nella definizione di PFAS dell’OCSE, 2.000 potrebbero essere precursori dei TFA. In questo, l’impostazione della Commissione Europea a considerare nell’acqua potabile un limite totale per i PFAS di 500 ng/L a partire dal 2026 sembra oltremodo lungimirante e pragmatica, anche per non inseguire una complessa caratterizzazione tossicologica di più pfas presenti come miscela nelle acque. E’ stimato che il TFA possa originare dalla degradazione di almeno 2000 differenti PFAS.
La Regione Veneto, attraverso ARPAV, ha già iniziato il monitoraggio del TFA e del suo “vicino” acido TriFluoro Fenil Acetico – TFA nei corpi idrici superficiali e sotterranei
In chiave prospettica, per anticipare il problema, in campo agricolo si potrebbe considerare quanto segue:
- Vietare tutti i pesticidi che rientrano nella definizione di PFAS (i) considerando la persistenza di un principio attivo o quella del suo metaboliti come effetto inaccettabile sull’ambiente e (2 rivedere la Tabella II del Regolamento sui Pesticidi al fine di proibire i principi attivi i cui prodotti di degradazione esitano nella formazione di sostanze attive persistenti, mobili e tossiche (PMT) e/o molto persistenti e molto mobili (vPvM).
- Attuare la restrizione generale sui PFAS come misura strutturale ed anticipare l’applicazione del limite ai PFAS totali.
- Intensificare e orientare sul rischio le analisi di PFAS nei corpi idrici, fornendo altresi’ supporto al mondo agricolo su alternative più sicure.
Da ricordare che il TFA può originare anche dal Fipronil, largamente impiegato quale farmaco veterinario negli animali da affezione, e come biocida per usi non agronomici quale insetticida. Un punto per fare riflettere anche la classe veterinaria per una corretta informazione ai proprietari di pets, visto che il farmaco è liberamente acquistabile senza prescrizione veterinaria.
ALLEGATI
Monitoraggio Acido Trifluoro Acetico (TFA) e Acido Tri-Fluoro Fenil Acetico (TFFA).