Un primo limite di spesa venne introdotto nel 2004 dal secondo governo Berlusconi. Fu poi nel 2006 il terzo governo Berlusconi ad istituire per gli anni 2006, 2007 e 2008 il tetto di spesa a livello dell’anno 2004 ridotto dell’1%. Il secondo governo Prodi ampliò la misura anche fino al 2009 rendendo la misura ancora più stringente. Il quarto governo Berlusconi prolungò la misura fino al 2020. Per arrivare a delle rimodulazioni si dovrà attendere prima il 2018 con Gentiloni e poi il 2019 con Conte. Anche se a prescindere dalle norme il tetto non è stato quasi mai rispettato. In 20 anni la spesa è cresciuta di oltre il 30%.
“Il tetto alla spesa per il personale sanitario è stato introdotto nel 2009, e questo ha comportato, chiaramente, negli anni, anche il crescente ricorso ai contratti a termine e il devastante fenomeno dei cosiddetti medici gettonisti, che lei citava. Noi, quindi, ci troviamo a fare i conti con una situazione che si è stratificata negli ultimi 14 anni”.
Così, lo scorso mercoledì 24 gennaio il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rispondeva in aula alla Camera ad un’interrogazione a risposta immediata sul tema presentata dalla segretaria dem Elly Schlein. Una risposta che, oltre a ricostruire in maniera errata la genesi del tetto di spesa per il personale sanitario, si è anche rivelata un autogol per il premier visto che, nel 2009, anche lei era un ministro di quel governo guidato da Silvio Berlusconi.
A quell’intervento alla Camera sono poi seguite diverse ricostruzioni imprecise su questa misura che a breve compirà 20 anni. Vediamo insieme quando nasce il tetto di spesa per il personale Ssn e come questo si sia evoluto nel tempo.
Un primo limite viene introdotto dal secondo governo di Silvio Berlusconi, con Domenico Siniscalco all’Economia e Girolamo Sirchia alla Salute. Con la legge 311/2004 (articolo 1, commi 98 e 107) per gli enti del Servizio sanitario nazionale, sono fissati criteri e limiti per le assunzioni per il triennio 2005-2007, previa attivazione delle procedure di mobilità e fatte salve le assunzioni del personale infermieristico.
La misura venne confermata l’anno successivo dal secondo governo di Romano Prodi, con alla guida dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa e Livia Turco alla Salute. La legge 296/2006 (comma 565) estendeva il tetto di spesa per il personale sanitario agli anni 2007, 2008 e 2009 stabilendo che questo non dovesse essere superiore a quello del 2004 diminuito dell’1,4%.
Arriviamo così a quel famigerato 2009, quando il quarto governo Berlusconi, con sempre Giulio Tremonti all’Economia, Ferruccio Fazio alla Salute ed una giovane Giorgia Meloni ministro della Gioventù, con la legge 191/2009 (articolo 2, commi da 71 a 73) estese il tetto di spesa agli anni 2010, 2011 e 2012 esclusivamente per gli enti del Servizio sanitario nazionale (escluse Regioni e Comuni).
Lo stesso governo Berlusconi, con Meloni in CdM, approvando la legge 111/2011 di conversione del decreto legge 98/2011 (articolo 17, comma 3) estendeva a ciascuno degli anni dal 2013 al 2020 le misure previste dalla legge 191/2009 e quindi il tetto di spesa per il personale Ssn al livello del 2004 ridotto dell’1,4%.
A questo punto il tema viene ripreso dal governo guidato da Paolo Gentiloni, con all’Economia Pier Carlo Padoan e alla Salute Beatrice Lorenzin. Con la legge di Bilancio 2018 (legge 205/2017, comma 454) per le Regioni virtuose, in alternativa all’adempimento in vigore fin dal 2009 di graduale riduzione della spesa del personale per un importo pari a quello della spesa dell’anno 2004, decurtata dell’1,4%, si introduceva una possibile alternativa qualora “abbia raggiunto l’equilibrio economico e abbia attuato, negli anni dal 2015 al 2019, un percorso di graduale riduzione della spesa di personale, ovvero una variazione dello 0,1 per cento annuo”. In questo modo il nuovo tetto poteva quindi essere calcolato sulla base del livello di spesa del 2004 diminuito del 1,3%.
Sarà poi il primo governo di Giuseppe Conte, con Giovanni Tria all’Economia e Giulia Grillo alla Salute a tornare nuovamente sulla materia. Con la legge 60/2019 (articolo 11, commi 1 e 3), di conversione del decreto legge 35/2019, il cosiddetto Decreto Calabria, il nuovo limite decorrente dal 2019 non può superare il valore della spesa sostenuta nell’anno 2018, come certificata dal Tavolo di verifica degli adempimenti, o, se superiore, il corrispondente ammontare riferito al 2004, diminuito dell’1,4 per cento (legge 191/2009). Questi valori sono incrementati annualmente, a livello regionale, di un importo pari al 10% dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente. Dall’anno 2021 questo incremento viene subordinato all’adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale. Inoltre l’aliquota annua di incremento può essere elevata da 10 a 15 punti in base ad una specifica procedura, atta a valutazione di ulteriori fabbisogni di personale.
La legge milleproroghe (21/2021) di conversione del decreto 183/2020 (articolo 4, comma 4) sposta dal 2021 al 2022 l’adozione della metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale prevista dal Decreto Calabria.
Questa metodologia è stata infine approvata con l’attuale governo Meloni con dapprima l’Intesa raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni il 21 dicembre 2022 poi trasformata in Decreto il 9 gennaio 2023.
Chiarita ora tutta la ricostruzione normativa non resta che chiederci una cosa: nel corso degli ultimi 20 anni questa misura come è stata recepita a livello regionale? Ad aiutarci a far luce su questo aspetto è la Corte dei conti che, nel suo rapporto di finanza pubblica del 2019, ha spiegato: “La spesa per il personale, pur contenuta nelle sue componenti a tempo indeterminato e mantenendosi con ritmi di variazione nel complesso molto limitati (specie nell’ultimo quinquennio) non ha rispettato l’obiettivo: nel 2018 la spesa complessiva è di quasi 5,5 miliardi superiore al livello del 2004”.
La Corte rilevava come “gli importi sono di oltre il 23 per cento maggiori nelle Regioni non in Piano di rientro e dell’8,5 per cento per cento in quelle in Piano. Sono Lombardia, Emilia Romagna e Veneto le Regioni che in questi anni hanno mantenuto livelli di spesa di dimensioni assolute maggiori, coprendo il differenziale con risorse proprie e garantendo l’equilibrio dei conti. Anche le Regioni in Piano hanno, nella maggior parte dei casi (fa eccezione la Campania) superato il limite di spesa”.
Alla luce di questi fatti, erano stati gli stessi giudici contabili a spiegare come le nuovo norme meno stringenti introdotte dal Decreto Calabria potessero risultare “naturalmente più favorevoli per quelle Regioni che hanno mantenuto un livello superiore al complesso della spesa (quindi le Regioni non in Piano di rientro) rispetto a quelle che invece hanno dovuto mantenere un profilo più stringente”.
Tra il 2020 e il 2022, la spesa per reddito da lavoro dipendente è cresciuta passando da 36,7 a 38,6 mld di euro, con una variazione percentuale che è andata invece a decrescere: da un picco del 3,6% nel 2020, fino 2,4% del 2022. Insomma, tante leggi per un tetto che quasi sempre è stato sfondato.
Giovanni Rodriquez -Quotidiano sanita