Il taglio degli stipendi pubblici non tocca le pensioni. Infatti, sulla quota ridotta delle retribuzioni (in misura del 5-10%), operati ai dipendenti pubblici con stipendi sopra i 90 mila euro per il triennio 2011/2013, devono comunque essere pagati i contributi previdenziali. A precisarlo è l’Inpdap, nella nota operativa n. 22/2011 del 5 ottobre, illustrando i riflessi contributivi sulle misure di contenimento della spesa in materia di impiego pubblico introdotte dalla manovra estiva dello scorso anno. L’istituto precisa, inoltre, che lo stop triennale degli adeguamenti retributivi e delle progressioni di carriera, invece, determina automaticamente un ridotto versamento contributivo e, quindi, una minore copertura pensionistica. Le misure analizzate dall’Inpdap sono tre, e tutte previste dall’articolo 9, commi 21 e 2, del dl n. 78/2010, convertito dalla legge n. 122/2010.
La prima di queste prevede, per gli anni 2011, 2012 e 2013, il blocco senza successivi recuperi dei meccanismi di adeguamento retributivo al personale. In sostanza, come peraltro chiarito dal ministero della pubblica amministrazione, questa misura prevede nei confronti del predetto personale, per il triennio 2011/2013, l’interruzione di tutti gli automatismi stipendiali, la cui naturale data di maturazione slitta di tre anni.
La seconda misura è il blocco delle progressioni di carriera, comunque denominate, per gli stessi anni e per lo stesso personale individuato dall’articolo 3 del T.u. sul pubblico impiego, le quali hanno effetto, per il predetto triennio, esclusivamente ai fini giuridici. L’Inpdap precisa che, per le progressioni interessate al blocco, in pratica, il lavoratore acquista la posizione/qualifica superiore mediante promozione, ma senza la relativa remunerazione che otterrà soltanto a partire dall’anno 2014 in poi
10 ottobre 2011 – soldi blog.it