Il Superbonus presenta il conto. Alla luce della revisione dei criteri di classificazione da parte di Eurostat e Istat, i 120 miliardi di euro di crediti d’imposta maturati finora sui bonus edilizi, in particolare sull’agevolazione del 110% e su quella del 90% per il rifacimento delle facciate, si sono scaricati sul deficit pubblico degli ultimi tre anni. Che è stato così corretto ieri dall’istituto di statistica: 9,7% del Pil nel 2020 (invece del precedente 9,5%), 9% nel 2021 (anziché 7,2%) e 8% nel 2022 invece del 5,6% programmato nella nota di aggiornamento al Def dello scorso novembre.
Il peggioramento dell’indebitamento è dovuto al fatto che Eurostat, poiché questi crediti d’imposta erano cedibili, li classifica ora come «pagabili» tutti nell’anno in cui venivano concessi, considerandoli come maggior spesa, mentre prima consentiva di registrarli come minore entrata man mano che la detrazione veniva utilizzata di anno in anno. La correzione del deficit indotta dalle nuove regole fa capire meglio perché il governo sia intervenuto per bloccare i meccanismi di cessione del credito e di sconto in fattura, che altrimenti si sarebbero di nuovo scaricati pesantemente sull’indebitamento del 2023, per ora fissato al 4,5% del Pil.
L’Istat ha rivisto anche gli altri parametri dei conti pubblici. La crescita del prodotto interno lordo è stata leggermente ribassata per il 2021, al 6,7% (contro il precedente 7%), dopo il tonfo del -9% (invariato) nel 2020, l’anno del Covid. Per il 2022 la crescita resta al 3,7%, come stimato nella NaDef rivista dal governo Meloni a novembre. A trascinare l’economia l’anno scorso, specifica l’Istat, è stata soprattutto la domanda nazionale. In particolare, le costruzioni, con un +10,2% di valore aggiunto, spinto proprio dai bonus edilizi, e i servizi, con un +4,8%, mentre l’agricoltura ha perso l’1,8% e l’industria lo 0,1%. Nel terziario la crescita è stata del 10,4% per commercio, trasporti, turismo, alberghi e ristorazione; dell’8,1% per le attività artistiche e di intrattenimento e per la riparazione dei beni per la casa.
Tornando ai saldi di finanza pubblica, il disavanzo primario, cioè la differenza tra entrate e uscite al netto degli oneri sul debito pubblico è stato rivisto anch’esso in peggio: nel 2021 sale al 5,5% del Pil (dal precedente 3,7%) e nel 2022 al 3,7% (dall’1,5%). In leggero miglioramento, invece, il debito pubblico in rapporto al Pil, grazie anche all’inflazione che fa salire il valore nominale del prodotto: il debito scende così al 149,8% (dal 150,3%) nel 2021 e al 144,7% (dal 145,7%) nel 2022.
Cantieri
Confindustria avverte: cantieri, urgente intervenire sulla fase transitoria
Dati, questi sul debito, che fanno dire all’ex ministro e dirigente dei 5 Stelle, Stefano Patuanelli, tra i «padri» del Superbonus, che «il grande buco propagandato dal governo non esiste», mentre il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ribadisce che era necessario intervenire per impedire l’esplosione del deficit anche quest’anno, che avrebbe eroso i margini per sostenere l’economia.
Ma Confindustria, ieri in audizione in Parlamento, definisce «dirompenti» le scelte del governo, e chiede di intervenire con urgenza sul regime transitorio, salvaguardando le ristrutturazioni avviate prima del recente decreto legge di blocco della cessione dei crediti, «confermando la previgente disciplina per tutte le cessioni per le quali, entro 15 o 30 giorni dalla data di conversione del decreto, risulti presentata la Cila o la richiesta di permesso di costruire», ha detto la direttrice generale, Francesca Mariotti. Richieste che sono all’esame del governo, deciso a non tornare indietro sulla sostanza del blocco della cessione dei crediti, salvo la disponibilità a valutare deroghe per i lavori di ricostruzione post-sisma e per gli incapienti, coloro cioè che non hanno redditi sufficienti per detrarre i bonus fiscali.
La combinazione delle revisioni contabili fatta dall’Istat in seguito alle nuove regole Eurostat ha determinato anche il costante aumento della pressione fiscale in rapporto al Pil, passata dal 42,3% del 2019 al 42,7% del 2020 al 43,4% del 2021, al 43,5% nel 2022. Un record che allarma le categorie produttive e fa dire a Confcommercio che è urgente ridurre le tasse, «per non compromettere il sentiero di crescita robusta che sarebbe opportuno mantenere anche nei prossimi anni, proprio per garantire il riequilibrio dei conti pubblici e la riduzione del disavanzo nel momento in cui verranno ripristinati i vincoli stringenti del patto europeo di Stabilità». Vincoli sospesi durante la pandemia e fino alla fine di quest’anno. Ragione per la quale l’aumento del deficit 2020-22 non produrrà conseguenze negative per l’Italia nel giudizio della Ue sui conti pubblici.