L’Organizzazione mondiale della sanità ci ha avvertito: rischiamo di entrare nell’era post antibiotica. Se non si metterà un argine alla diffusione di batteri resistenti agli antibiotici, anche le infezioni che oggi riteniamo banali diventeranno una seria minaccia. Finora abbiamo cercato nuove molecole battericide soprattutto rovistando fra i germi del suolo, ma la miniera del futuro potrebbe essere un’altra: il corpo umano, o meglio l’insieme dei microrganismi che lo colonizzano.
È possibile insomma che la soluzione al problema sia sempre stata sotto al nostro naso, anzi dentro. Proprio con questa battuta Nature presenta la scoperta di un potente antibiotico prodotto dallo Staphylococcus lugdunensis , un batterio che vive all’interno delle narici del 9% delle persone.
Andreas Peschel e i suoi colleghi dell’università di Tubinga, in Germania, si sono imbattuti nella scoperta grazie a un fortunato mix di intelligenza e fortuna. Volevano studiare un altro tipo di stafilococco, quello aureo, che vive nel naso di una persona su tre senza causare problemi. In 2 casi su 100 questo batterio si presenta in una forma resistente a molti antibiotici, detta Mrsa. Quando raggiunge la circolazione sanguigna può uccidere, soprattutto se si diffonde negli ospedali infettando le persone più vulnerabili. Si calcola che negli Usa faccia 11.000 vittime l’anno e anche in Italia il problema è particolarmente sentito, perché l’abuso di farmaci qui è stato a lungo massiccio. «Nonostante i progressi degli ultimi anni restiamo il Paese più colpito in Europa dopo la Romania. Tra i pazienti ospedalizzati con gravi infezioni, lo Staphylococcus aureus è resistente nel 35% dei casi», ci ha detto Gianni Rezza, dell’Istituto superiore di sanità.
Per capire meglio il comportamento del germe, i ricercatori tedeschi hanno studiato altri 90 batteri che vivono anch’essi nel naso competendo tra loro per spazio e risorse. Analizzando i campioni prelevati a 187 pazienti ospedalieri, si sono accorti di un fatto interessante: chi ospitava il tipo lugdunensis aveva una probabilità sei volte minore degli altri di ospitare il tipo aureo. I due germi insomma sono rivali, anzi protagonisti di una vera e propria guerra batteriologica combattuta con armi molecolari. Il primo riesce ad avere la meglio sul secondo producendo un antibiotico (lugdunina), che ora i ricercatori vorrebbero imparare a sfruttare. Come molecola è più grossa dei comuni antibiotici e ha un diverso modus operandi che non è ancora stato chiarito del tutto. Ciò che conta però è che gli stafilococchi aurei non sono diventati resistenti al nuovo antibiotico pur restandovi esposti per 30 giorni in provetta.
Anche gli studi in vivo sul modello animale fanno ben sperare. Una volta spruzzati nel naso di cavie da laboratorio, i batteri «buoni» scalzano i germi cattivi. Quando sono somministrati a topi la cui pelle è infettata con il tipo aureo, riescono a contrastare l’infezione. Le virgolette sono d’obbligo perché nemmeno il tipo lugdunensis è del tutto inoffensivo per l’uomo. Se lo definiamo buono è perché anche in microbiologia vale il detto «il nemico del mio nemico è mio amico».
Ora si attendono conferme di efficacia sulla specie umana e potrebbero volerci anni per trasformare la scoperta in un farmaco adeguatamente testato. Magari uno spray nasale preventivo. Se tutto andrà bene avremo un’arma in più, efficace contro i temibili Mrsa e altri germi come l’enterococco, ma non contro altri patogeni resistenti detti gram-negativi. La cosa più importante comunque è che, a oltre 80 anni dalla scoperta della penicillina, si sia aperto un filone di ricerca nuovo e promettente. Nel 2014 era stato identificato il primo antibiotico prodotto da un batterio della vagina. Ma il nostro corpo ospita oltre un migliaio di specie batteriche e c’è da scommettere che ci regaleranno altri farmaci.
Il Corriere della Sera – 29 luglio 2015