Aula magna della cittadella sanitaria dell’Ulss 18 di Rovigo affollatissima per la tre giorni dedicata alla gestione delle emergenze non epidemiche, con partecipanti – veterinari, medici e tecnici di prevenzione – provenienti da ogni parte d’Italia. Presenti anche numerosi appartenenti alle forze dell’ordine e alla Protezione civile. Il corso di formazione «Il servizio sanitario nazionale nelle emergenze non epidemiche: la funzione della sanità pubblica veterinaria», che si è tenuto dal 29 settembre al 1. ottobre, è stato organizzato dal Dipartimento sanità animale e sicurezza alimentare dell’Ulss 18 e dall’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, con la collaborazione della Società italiana di medicina veterinaria preventiva.
Al centro di un dibattito appassionante e qualificato – 17 gli esperti a confronto – la gestione e il coordinamento dei soccorsi sanitari in caso di catastrofi naturali e non e le modalità di interazione dei diversi attori che si trovano ad intervenire nei territori colpiti dalle emergenze. La scelta del Polesine come scenario in cui ambientare la “tre giorni” – a quasi sessant’anni dalla grande alluvione del Po – non è casuale. Terra esposta da sempre ai capricci del grande fiume, in tanta sua parte sotto il livello del mare e legata al corretto funzionamento delle idrovore, sede di grandi impianti di produzione energetica, quella di Rovigo è una provincia costantemente a rischio di allagamenti e incidenti rilevanti.
Ma le emergenze in questi anni, con la crescente industrializzazione e i cambiamenti climatici in corso, la violenza delle precipitazioni alternata a periodi estremamente aridi, sono in aumento ovunque. Non eventi improbabili, quindi, ma possibili. Rischi con cui il servizio sanitario nazionale deve fare i conti. E la medicina della catastrofi deve prepararsi a fronteggiare ogni tipo di evento “non epidemico” come terremoti, alluvioni, frane, incendi, inquinamenti ambientali, industriali e nucleari.
Il corso ha focalizzato in modo particolare il ruolo dei servizi veterinari pubblici, fondamentali per il forte radicamento nel territorio, poiché si occupano quotidianamente di malattie animali e dei controlli sulla filiera agroalimentare. Aspetti che diventano centrali in casi di sfollamento della popolazione con la necessità di approvvigionamento di cibo, di inquinamento chimico o biologico, morte del bestiame e possibili infezioni che possono derivarne. Disciplina assai “giovane”, la medicina veterinaria delle catastrofi è nata nel 1980 con il terremoto dell’Irpinia. «Ci siamo accorti che gli operatori del servizio sanitario andavano adeguatamente formati – spiega Antonio Tocchio, veterinario dell’Ulss 18 e volontario di Protezione civile, “motore” insieme a Francesco Monge dell’evento – e che andava creato un coordinamento con tutti gli attori: protezione civile, province, regioni, Asl, portatori di interesse».
Ecco allora durante il corso l’approfondimento degli aspetti normativi, igienico-sanitari, ambientali e gestionali. Molto spazio anche ai casi pratici come l’emergenza del terremoto in Abruzzo del 2009 o l’alluvione a Vicenza e nelle province di Verona e Padova nel 2010. O ancora l’inquinamento del Lambro quando gli idrocarburi arrivarono con il Po nell’Adriatico, mettendo a rischio le forniture d’acqua, gli allevamenti dei molluschi e l’irrigazione dei campi. Per non parlare delle grandi catastrofi internazionali, dalla nube di Bhopal alle polveri vulcaniche in Islanda o il disastro nucleare di Fukushima.
Raffaele Bove, disaster manager e dirigente veterinario all’Asl di Salerno, decenni di esperienza sul campo nella medicina veterinaria delle catastrofi, ha sottolineato la necessità di far rientrare nei Lea le attività di preparazione dei servizi sanitari per la gestione delle grandi emergenze. Bove ha proposto anche la creazione di un tavolo permanente al ministero della Salute, di concerto con Protezione civile, regioni e varie componenti della veterinaria, per coordinare e programmare le iniziative.
«Le emergenze sono in aumento – spiega Roberto Poggiani, vicepresidente della Società italiana di medicina veterinaria preventiva – e c’è ora la necessità di arrivare a modelli organizzativi e protocolli standardizzati comuni e validati da un’autorità competente e a una catena di comando collaudata». Giuseppe Diegoli, del servizio veterinario della Regione Emilia Romagna, ha lanciato la proposta di un coordinamento tra le regioni del Nord Italia, ai primi posti per produzione agroalimentare, di cui il Veneto potrebbe candidarsi ad essere il capofila, con il supporto del Centro regionale di epidemiologia dell’Izs di Legnaro.
Quanto a Giorgio Cester, responsabile dell’Unità complessa sanità animale e igiene alimentare della Regione Veneto, ha espresso «la disponibilità del territorio veneto a strutturare un percorso utile al “Sistema Paese” sul tema delle emergenze non epidemiche».
«L’approfondimento di queste giornate con relatori di tutt’Italia – osserva Poggiani – ci ha convinto, come SIMeVeP del Veneto, della necessità di arrivare a definire percorsi formativi più articolati e standardizzati, “moduli” che potranno essere riproposti nelle diverse realtà, partendo proprio da centri di eccellenza veneti come il Crev e l’Università».
Nella direzione della predisposizione di protocolli comuni, anche l’incontro che si terrà a Roma nella sede della Protezione civile nazionale il 6 ottobre cui parteciperà una delegazione della SIMeVeP
Ideale completamento del corso una mostra per celebrare il ruolo che la medicina veterinaria ha ricoperto nelle catastrofi negli ultimi trent’anni. L’esposizione, curata da Bove, era comprensiva di 30 grandi poster tematici relativi ai temi trattati durante il corso.
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a cura di c.fo – 2 ottobre 2011 – riproduzione riservata