È iniziato ieri il giro di incontri sul Recovery plan, con il ministro dell’Economia e quello degli Affari europei e i partiti di maggioranza. Di tempo ce n’è poco, come fa notare anche Confindustria, ma il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta mostra ottimismo: «Arriveremo abbastanza rapidamente ad una conclusione». E sulle discussioni su come gestire le risorse in arrivo da Bruxelles, che da settimane animano la maggioranza, è sicuro: «Si risolveranno entrando nel merito, se non sono polemiche pretestuose».
Il presidente degli industriali, Carlo Bonomi, teme che questo piano diventi il frutto delle tensioni tra partiti. E che in questa continua opera di mediazione, per evitare una crisi, si perda troppo tempo.
«Sono rischi che oggettivamente esistono. Per evitare passaggi a vuoto, ora è fondamentale entrare nel merito. Rendere esplicita la discussione sui contenuti del piano per il Recovery potrebbe attenuare e risolvere certe tensioni».
Anche quelle sulla governance?
«Penso che la strada migliore sia definire al più presto il quadro degli interventi e poi avviare rapidamente un confronto nelle sedi istituzionali oltre che con i partiti».
La task force ideata dal premier, con i poteri nelle mani dei manager e di pochi ministri, non era una buona idea?
«Il fatto che il coordinamento sia nelle mani di alcuni ministri è assolutamente logico e funzionale. Sulla questione dei manager, quello che non va confuso è il ruolo degli esperti con il ruolo dei decisori. Se le task force sono considerate un supporto tecnico della politica, possono essere utili. È opportuno coinvolgerle, ma la sede decisionale deve essere quella del governo, del Parlamento e delle Regioni».
Dà credito alle minacce di crisi che piovono ogni giorno da Italia viva su palazzo Chigi?
«Non ci credo. Il Paese non lo capirebbe e l’unica alternativa sarebbe il voto. Le due sfide del 2021 sono l’uscita dal Covid con le conseguenze economiche che porterà e il Recovery plan: creare un vuoto politico sarebbe un tragico errore. Da un mese si alternano minacce a rassicurazioni Se questo significa uno stimolo a far meglio, prendiamolo per buono. Ma facciamo tutti attenzione a non rompere l’elastico».
Tornando al merito del piano, come si fa a mediare tutte le richieste dei partiti?
«Vanno scelte le priorità. Siamo il secondo paese manifatturiero d’Europa e il primo al mondo per patrimonio artistico e abbiamo una posizione geografica che rende la nostra logistica uno snodo commerciale per Centro ed Est Europa. Se si usano questi parametri, si torna in un alveo di una discussione logica».
L’Ue chiede investimenti e riforme. Gli incentivi, benché esclusi dal piano, non sono una priorità. Nemmeno il super eco-bonus caro ai 5s?
«Condivido le indicazioni del commissario Gentiloni. Gli incentivi sono uno strumento utile e nella legge di bilancio, infatti, abbiamo prorogato fino a tutto il 2022 il super eco-bonus del 110%, ma hanno per natura una logica congiunturale. La natura vera del Recovery è invece quella di un intervento sulla struttura del Paese».
Esiste il rischio di non riuscire a spendere i 209 miliardi del Recovery? Sono fondi che vanno impegnati entro il 2023 e spesi entro il 2026.
«Il rischio esiste e su questo ci giochiamo la credibilità. Accanto alle risorse del Recovery poi ci sono quelle ordinarie: circa 40 miliardi di euro, previsti nel piano 2021-2027, che con la compartecipazione possono diventare quasi 80 miliardi. Troppo spesso, in passato, non siamo riusciti a spenderli. È quindi una doppia sfida, ma nel Paese si è costruita un’attesa e una coscienza forte intorno alle risorse europee. E questo mi fa credere che riusciremo nell’impresa». —
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