Così come i macelli per gli animali domestici anche i centri di raccolta della selvaggina (CRC), a integrazione del loro scopo venatorio e gestionale originario, potrebbero diventare in futuro un punto di riferimento per il controllo sanitario e per la sorveglianza, passiva e attiva, sulle più importanti malattie che possono colpire la fauna selvatica, anche a tutela della salute umana.
Un progetto di ricerca dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (RC 01/13) ha indagato proprio la funzione strategica che una rete organizzata ed efficiente di queste strutture potrebbe avere sia per garantire un costante livello di monitoraggio, sia per l’identificazione precoce in caso di insorgenza di malattie infettive, rappresentando anche la naturale prosecuzione di una ricerca precedente (RC 08/12).
Quest’ultima ricerca infatti mirava a gettare le basi per la creazione, nell’area del Triveneto, di una prima rete di sorveglianza sulle malattie della fauna selvatica a partire dagli ungulati selvatici, basata su procedure standardizzate e condivise tra gli operatori, e di una piattaforma informatica utilizzabile a livello locale, nazionale e internazionale. Il nuovo progetto ha ora inserito i centri di raccolta della selvaggina all’interno di questa rete, in quanto essi costituiscono un basilare punto di interazione tra attività venatoria, gestione faunistica e salute pubblica.
Infatti è a questo livello che dovrebbe avvenire la prima fase di registrazione del segnalamento, dei dati biometrici e delle osservazioni sanitarie e inoltre, grazie alla presenza di celle frigorifere e congelatori, sarebbe possibile attuare non solo una corretta conservazione delle carcasse ai fini dell’igiene e della sicurezza degli alimenti, ma anche un corretto prelievo e stoccaggio temporaneo dei campioni biologici destinati alle analisi. È quindi evidente come queste strutture, laddove presenti, se opportunamente inserite in un sistema possano essere molto utili ai fini sia della sorveglianza passiva, in particolare per l’individuazione precoce (early detection) di possibili infezioni prioritarie e per un’efficace localizzazione dei casi sospetti, nonché per l’applicazione di strategie di campionamento nell’ambito di piani di sorveglianza attiva.
Il progetto, che ha interessato le aree del Triveneto tradizionalmente più ricche di ungulati selvatici (Alpi e Prealpi) e ha visto la collaborazione di diversi partner (province, regioni, parchi, aziende sanitarie locali) si è articolato in diverse fasi, a partire dal censimento e mappatura dei centri di raccolta presenti in ciascuna unità amministrativa.
“Si tratta di un’attività svolta forse per la prima volta in modo così sistematico e su larga scala”, afferma il Carlo Citterio, responsabile scientifico del progetto, “ma che necessita ancora di uno sviluppo futuro”.
Le successive fasi del progetto sono state:
- la verifica della tipologia dei dati raccolti (es. numero di carcasse, specie, classe di età);
- la valutazione dei metodi di raccolta/archiviazione di tali dati presso queste strutture;
- lo sviluppo di un protocollo di base per la sorveglianza passiva;
- la realizzazione di un programma condiviso di formazione per cacciatori, personale di vigilanza e veterinari, mirato soprattutto alla early detection di patogeni prioritari ma che ha introdotto anche alcuni elementi di sorveglianza attiva.
Le valutazioni finali sono state riassunte anche attraverso la produzione di mappe tematiche, seguendo il principio di voler mantenere lo stretto legame con il territorio inaugurato con la ricerca precedente.
In conclusione, questo progetto di ricerca ha rappresentato nel nostro Paese il primo tentativo di raccogliere e armonizzare i dati relativi ai centri di raccolta della selvaggina su una scala medio-ampia ai fini della sorveglianza sanitaria. Secondo Carlo Citterio:
“Anche alla luce dei risultati del progetto di ricerca i punti critici per il futuro saranno: migliorare le modalità di raccolta e di archiviazione dei dati dei centri di raccolta per garantire la sorveglianza sanitaria; conciliare, all’interno degli stessi centri di raccolta, le esigenze della sorveglianza con i requisiti igienico-sanitari, ormai imprescindibili anche nell’ottica della creazione di una filiera delle carni di selvaggina sul mercato locale oggi da molte parti auspicata”.
Per un vero consolidamento nel tempo, sviluppi e procedure dovrebbero essere concordati tra gli Enti di gestione della fauna e le Autorità Competenti (Ministero della Salute, Regioni e Province Autonome e ASL), prevedendo anche la possibilità di modificare la normativa a livello locale in modo da armonizzarla nell’intero territorio del Triveneto.
Come già emerso dalla precedente esperienza, è evidente come tutte queste attività non si possano esaurire in un arco di tempo di un progetto di ricerca, ma debbano continuare e svilupparsi nel futuro, anche in collegamento con le iniziative europee di sorveglianza integrata nelle popolazioni selvatiche.
Fonte Izsve – 28 novembre 2017