In questa storia di misteri ci sono tre bare e cinque persone ancora ricoverate in ospedale. E poi tre case — in via Fiume e in via Padova a Nova Milanese (Monza e Brianza) e in via Thanner a Santa Marizza di Varmo (Udine) — dove i carabinieri hanno sequestrato e analizzato di tutto. Dai vasetti di conserve, al sugo, all’acqua del pozzo, alla farina e alle patate usate per il purè, fino ai filtri dell’aria condizionata, nell’infinita e vana speranza di trovare la microscopica traccia del killer. Che un nome, a differenza dei romanzi gialli ce l’ha già. E si chiama tallio, un metallo pesante presente nel corpo e nei cibi ma in quantità infinitesime, e che invece diventa un veleno dei più letali a dosaggi appena superiori.
Nei corpi di Patrizia Del Zotto, 62 anni (allergica ai metalli) e dei suoi anziani genitori, Giovanni Battista (94) e Maria Gioia Pittana (87), ce n’era abbastanza non solo da uccidere ma da farlo molto rapidamente. Sono morti nelle prime settimane di ottobre. E lunedì, mentre ancora sono ricoverati l’altra figlia Laura (58), Enrico Ronchi (64) il marito di Patrizia, e la badante Serafina Pogliani (49), in ospedale sono finiti anche l’84enne Alessio Palma, e la moglie Maria Lina Pedon (81), suoceri di uno dei figli dei Del Zotto, Domenico.
Loro non erano mai stati nella casa di Varmo dove tutti gli intossicati avevano trascorso insieme un paio di settimane ad agosto. E dove le prime indagini avevano fatto pensare che fosse avvenuta la «contaminazione». In quella casa di campagna i carabinieri di Latisana avevano sequestrato e analizzato ogni campione di cibo, ogni vasetto o contenitore senza mai trovare tracce di tallio. Neppure nel vecchio pozzo, o nel granaio dove qualcuno aveva pensato a una (impossibile) contaminazione da feci di piccione.
Quella dell’errore umano resta la più probabile tra tutte le ipotesi. Anche se adesso la «scena del crimine» si sposta a 350 chilometri di distanza, a Nova Milanese dove vivono sia i Del Zotto sia i Palma. E anche l’esposizione al veleno non viene più fatta risalire all’estate, ma a poche ore dalla morte di Patrizia, la prima a spegnersi all’ospedale di Desio.
Nessuno però sa ancora come sia stato possibile che questa famiglia «allargata» sia stata avvelenata e in che modo. Con una sola empirica certezza, che il tallio sia stato in qualche modo ingerito dalle vittime. «L’ipotesi di un semplice contatto con il metallo è da escludere, in una casistica di diversi decenni non abbiamo praticamente registrato episodi simili. Ed è quasi impossibile che ciò avvenga per così tante persone» spiega il direttore del Centro antiveleni della Clinica Maugeri di Pavia, Carlo Locatelli. «I casi d’avvelenamento da tallio non sono infrequenti. Per la maggior parte però si tratta di contaminazioni accidentali. Ma non solo…». In quel non solo c’è la storia di un medico milanese che nel 2000 finì avvelenato da una bottiglia di vino «al tallio». E di un turista austriaco di 75 anni che lo stesso anno fu ucciso a Lignano Sabbiadoro (vicino a Varmo) da una birra contaminata.
Dopo i primi effetti gastrointestinali, il tallio ha conseguenze gravissime sul sistema nervoso. E la terapia per decontaminare l’organismo dura mesi e non sempre riesce a evitare danni permanenti. In realtà questo metallo, come l’arsenico, non è poi così difficile da reperire. E anzi, si trova legalmente su Internet, principalmente in sali. Viene usato come «standard» per i laboratori, ma anche nell’industria. Si trova a meno di 80 euro, anche se da più di vent’anni è stato bandito dai topicidi, dove era la sostanza di base più utilizzata.
Le indagini si concentrano sui pochi alimenti che potrebbero essersi «scambiati» i due nuclei familiari. Ieri i carabinieri di Desio, guidati dal capitano Mansueto Cosentino, hanno ascoltato l’anziano Alessio Palma. Lui non ha ricordato pranzi o cene particolari. Ma qualche caffè. Tanto che ora si pensa (anche) allo zucchero. I sali di tallio non sono differenti dal saccarosio. Ma chi ha portato il tallio a casa Del Zotto, e perché? Un incredibile errore, o la firma misteriosa di un assassino?
Il Corriere della Sera – 16 novembre 2017