Roberto Petrini. La valanga delle auto di Stato non si arresta. Anni di polemiche e denunce hanno solo scalfito un sistema che continua a proliferare nonostante la spending review e la necessità di moralizzare la vita pubblica. A conti fatti parlare di riduzione è stato un bluff.
I dati sono pubblici, ma nessuno ha fatto le somme: l’ultimo censimento sulle auto della Pubblica Amministrazione, concluso il 28 febbraio del 2017, ha prodotto un immenso tabellone in pdf.
Repubblica ha chiesto alla società di data management Twig, guidata da Aldo Cristadoro, di trattare e confrontare le cifre con il precedente censimento chiuso nel febbraio dell’anno scorso. Ebbene: il risultato è che nel 2016 sono emerse 8.791 auto di servizio in più, si è passati da quota 20.891 a 29.682. L’emersione di circa 9.000 auto in più dipende per buona parte dalla maggiore accuratezza del censimento e dal numero di risposte pervenute dove si dichiara il possesso di almeno una auto di servizio: ciò significa che basta fare una rilevazione più approfondita per scoprire che le auto di servizio in Italia sono molte di più di quanto si pensi. Eppure, nel comunicare i dati del 2016, il governo sottolineò una riduzione di 1.049 auto, pari al 3,3 per cento rispetto al 2015. Invece secondo la rielaborazione e il riallineamento dei dati fatta da Twig per quei due anni, anche per via della maggiore partecipazione al censimento delle amministrazioni, sarebbero emersi quasi 2.000 veicoli in più.
Ma la vicenda delle auto di servizio, per le quali lo Stato spende una cifra considerevole ogni anno, e che si tenta di prendere di petto dal 2012, quando fu varato il primo decreto di contenimento, si presta ad altre sorprese. Quando Matteo Renzi annunciò, nei primi mesi del 2015 di voler vendere su eBay le Maserati blindate di Stato, la mastodontica platea delle auto di servizio italiane era già stata più che dimezzata. Peccato che era avvenuto solo sulla carta: alla fine del 2014 un decreto del ministero della Funzione pubblica aveva infatti cambiato i criteri del censimento, cancellando dall’insieme delle auto censibili circa 40 mila veicoli con un colpo di bacchetta magica. Il decreto infatti eliminava le auto destinate al contrasto delle frodi alimentari, alla manutenzione della rete stradale Anas, alla difesa, alla pubblica sicurezza e ai servizi sociali e sanitari. Così si è scesi da quota 60 mila a quota 20 mila sulla quale oggi ragioniamo: cambiando i criteri del censimento sono sparite circa 20 mila auto delle Asl e in genere della sanità regionale. La domanda è: ma se si tratta di semplici auto al servizio della collettività e non di scandalose auto blu con autista, perché non censirle? Contare non vuol dire, mettere all’indice.
Il vero boom delle auto di servizio e blu è nei Comuni: si moltiplicano man mano che i censimenti si fanno più approfonditi. Nel 2016 siamo arrivati a quota 16 mila, quasi il doppio rispetto all’anno precedente e al numero dei municipi che sono circa 8 mila. Senza contare che il panorama dell’auto di servizio non è ancora tutto delineato perché i municipi sono riluttanti e quelli che hanno denunciato il numero delle proprie auto è ancora solo il 60,6 per cento.
La posizione di testa nella classifica dei Comuni che denunciano il maggior numero di auto blu (cioè con annesso autista) è occupata da Oristano: ce ne sono 20 (il che significa 63,2 ogni 100 mila abitanti). Seguono — con netta prevalenza del Sud — Trapani, Brindisi, Messina, Cosenza e Matera. In termini assoluti, e con riferimento alle semplici auto di servizio (cioè senza autista dedicato), in testa c’è Torino con 294 auto, seguita da Roma con 146 auto. Spicca Sassari con 106 auto (83,1 ogni 100 mila abitanti).
Paradossali i casi di Roccasecca dei Volsci (Latina) che denuncia 10 veicoli con autista (sarebbero 872,6 auto su una ipotetica platea di 100 mila abitanti). E delle tre regine dell’auto di servizio: Roseto degli Abruzzi (Teramo), Monopoli (Bari) e Bagheria (Palermo), Comuni con più di 50 vetture a disposizione. A Pietracamela (Teramo) invece, con 271 abitanti, ci sono 4 auto di cui 3 con autista.
Forse l’unico settore dove qualche sforzo è stato fatto è quello dei ministeri. La ministra della Funzione Pubblica, Marianna Madia, disse la verità quando nel febbraio 2016 affermò che le auto delle amministrazioni dello Stato l’anno precedente si erano dimezzate scendendo, come risulta, a quota 274. I conteggi di Twig dicono che il processo è andato avanti e nel 2016 siamo scesi a quota 212. Ma anche in questo caso ci sono problemi di rilevazione statistica che possono trarre in inganno. L’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, che aveva avviato un serio intervento di riduzione, nel suo libro “La lista della spesa”, le valutava prima del decreto di riduzione in 1.800, tenendo conto che mancano all’appello del censimento le auto del ministero dell’Interno e le auto fornite ai vari dicasteri dai cinque principali corpi di polizia. Tanto per fare un esempio: il “car pool” britannico per i dicasteri conta di solo 80-90 auto. Ma noi siamo lontani.
Repubblica – 6 luglio 2017