La sceneggiatura della crisi si è fatta decisamente tediosa, appesa com’è dal 13 gennaio – dieci giorni, un’eternità – alla conta dei potenziali transfughi-volenterosi. Un plot esangue. E per di più senza alcun pathos popolare: il Covid ha cancellato ogni tipo di “esterno con comparse”: non ci sono turbe arrabbiate sotto Montecitorio, né piazze, Popoli Viola, Popoli Arancioni, e nemmeno quei salaci caratteristi (ve la ricordate la Sora Annarella? ) che in ogni precedente sconquasso fornivano alle tv il siparietto della gente comune. I sondaggi dicono che solo tre persone su dieci hanno capito il senso degli eventi. La settimana scorsa erano quattro. Più si va avanti, insomma, più l’intreccio diventa indecifrabile per il cittadino medio.
Ma anche “chi ci capisce” sembra aver perso il polso della situazione, tanto ché le opzioni per il finale di stagione restano appese non a una, non a due, non a tre, ma addirittura a quattro ipotesi. Le seguenti.
1. IL RIMPASTO
Gli ex di Udc, Fi e Iv puntellano il governo
Happy End (per la maggioranza). Era la soluzione più gettonata dopo il voto di fiducia, ma adesso sembra in deciso declino.
Ruota intorno a un colpo di scena che dovrebbe essere concordato e messo in opera in tempi brevissimi, entro mercoledì notte. La trama, in sintesi: Paola Binetti sente la chiamata divina, i tre senatori Udc orfani di Lorenzo Cesa cedono al terrore del voto anticipato, un paio di forzisti e altrettanti renziani rompono gli indugi, tutti cambiano casacca. Habemus Volenterosi. Conte resta in sella, procede alla sostituzione delle ministre dimissionarie e a qualche altro ritocco, magari dopo un rapido passaggio al Quirinale.
Il plot holes, il “buco di sceneggiatura” di questo tipo di finale, però, risulta grande come una casa: il primo voto della ritrovata maggioranza, giovedì, dovrebbe riguardare la relazione annuale sulla Giustizia e tutti i citati protagonisti hanno conti politici in sospeso con il grillismo giudiziario. L’atto di sottomissione richiesto sarebbe eccessivo persino per loro. Pure quelli che sembravano “già acquisiti” come Sandra Lonardo Mastella e Riccardo Nencini scapricciano, si tirano indietro: chiedeteci tutto, ma non il sì ad Alfonso Bonafede.
2.IL MANDATO TER
Il premier si dimette ma solo per tornare
Finale circolare. È la soluzione in ascesa. Giuseppe Conte “brucia” il voto sulla giustizia dimettendosi prima, chiedendo e ottenendo un nuovo incarico e aprendo la stagione del Conte Ter. I capi partito di maggioranza spargono il terrore tra i peones blindando la linea «o Conte o elezioni». La prospettiva scuote le coscienze del potenziale club dei Volenterosi e incrina i propositi gladiatori di Italia Viva. Il resto lo fa la golosa suggestione di un esecutivo da rifare, 65 tra ministri e (soprattutto) sottosegretari, con lauti premi per chi si accomoderà in maggioranza.
Improvvisamente tutti, anche gli ex-M5S Marinella Pacifico e Mario Giarrusso, si sentono meno inclini alla pugna contro il governo. Intorno al perno del Maie o alla sigla del Partito socialista di Riccardo Nencini si costituisce la famosa “quarta gamba”. Poi la storia ricomincia da capo (per questo si chiama finale circolare), con la rinata coalizione che arranca sotto scacco di 10-15 senatori malassortiti, sicuri della loro indispensabilità, decisi a farla pesare. Uno dei finali circolari più famosi del cinema è quello di Tenet, di Christopher Nolan: arrivati ai titoli di coda, ci si maledice perché si è rimasti a guardarlo per due ore e mezza.
3. IL GOVERNISSIMO
Il Cavaliere ci sta se cambia il premier
Finale a sorpresa. Il capitolo finale comincia come nel caso precedente. Giuseppe Conte, nell’impossibilità di superare il voto sulla giustizia, si dimette prima nella convinzione di poter costruire un Conte Ter con i Volenterosi (che, a quel punto, accorrerebbero in buon numero). Ma una parte del Centrodestra – Silvio Berlusconi e magari pure Matteo Salvini – va al Quirinale e anziché ripetere «elezioni subito» apre alla prospettiva di un governo di unità nazionale, ovviamente con un diverso premier.
Psicodramma a sinistra. Crisi di nervi nel Movimento Cinque Stelle. Ora come si fa a dirgli di no, a tenerli fuori? L’appello ai Costruttori, in fondo, lo ha fatto il presidente Sergio Mattarella: risulterebbe politicamente complicato rifiutare l’offerta di una cogestione della crisi.
Lo scenario darebbe un colpo di frusta al plot, e forse ci regalerebbe pure qualche momento ad alto tasso emotivo (tipo l’ira di Giorgia Meloni contro gli alleati disobbedienti ai patti), ma resta, più che altro, una fantasia fissa degli sceneggiatori. Se ne parla ogni giorno, analizzando al microscopio le dichiarazioni del Cavaliere e di Giancarlo Giorgetti per trovare un appiglio: qualcuno c’è, ma non abbastanza per incoraggiare sviluppi.
4. LE ELEZIONI ANTICIPATE
Bruciata ogni opzione non resta che votare
Finale Thelma e Louise. È quello in cui Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, fallito ogni piano di resistenza nella trincea di Giuseppe Conte, esaurito ogni tentativo di arruolamento, scartata ogni ipotesi di tenere in vita la legislatura altrimenti (con un altro premier o con un governo di unità nazionale), ingranano la terza, spingono l’acceleratore al massimo e si buttano sgommando nel Grand Canyon delle elezioni anticipate.
Il fermo immagine conclusivo li immortalerà così, sospesi tra le nuvole con le facce sporche di polvere e sudore, e starà a noi immaginare il dopo: si schianteranno sul fondo del burrone, mentre la destra a trazione sovranista si prende tutto – Parlamento, governo, Quirinale – oppure ascenderanno al Walhalla degli eroi vincendo, oltre ogni previsione, la sfida delle urne nella prossima primavera?
Al momento l’opzione Thelma e Louise risulta oggettivamente in ascesa. «O Conte o il voto» è il mantra che ripetono tutti gli attori protagonisti del film.
Ma la loro apparente determinazione va guardata con cautela: in genere la politica italiana rifugge dalle sfide mortali e un metro prima del precipizio prova sempre a tirare il freno a mano (poi, bisogna vedere se ci riesce).