Lorenzo Vendemiale Il rinvio della riforma ha generato nel mondo della scuola delusione. E diffidenza. Il timore è che dietro lo slittamento si nascondano difficoltà economiche. A riguardo Matteo Renzi è stato categorico : «Nessun problema di coperture», ha smentito ieri in conferenza stampa. Per 27mila insegnanti adesso lo Stato risparmia ogni anno due mensilità e per altri 42mila non paga l’anzianità
Non è un mistero, però, che il nodo principale sia quello del costo del «pacchetto», in particolare del piano assunzioni da 100mila posti. Sul tema non c’è ancora stato un confronto col Ministero dell’Economia. Il premier si è impegnato per un miliardo di euro, secondo i sindacati ce ne vogliono molti di più. Ma quanto costerebbe stabilizzare un precario, anzi 100mila precari? Alla fine la domanda che attanaglia il governo è soprattutto questa.
Trovare una risposta precisa è molto difficile. Un docente di ruolo di scuola secondaria superiore, al primo contratto a cattedra piena, guadagna circa 1.300 euro netti al mese (che diventano 1.900 lordi, tra Irpef e ritenute pensionistiche). Un supplente di pari grado anche: sul piano salariale non ci sono differenze (né possono esserci, come stabilisce la normativa europea). Eppure la stabilizzazione avrebbe un costo, anche abbastanza alto. Innanzitutto perché tutti i precari che vengono chiamati in servizio per completare l’organico di fatto (senza fare parte di quello di diritto) firmano un contratto fino al 30 giugno, e non al 31 agosto. Nel 2014/2015 saranno circa 27mila in tutta Italia, e su di loro lo Stato risparmia già due mensilità.
Poi c’è il problema della ricostruzione di carriera. Passato il primo anno di «prova», un insegnante matura un’anzianità che diventa fondamentale ai fini retributivi: la «scala» prevede sei «gradoni» in totale, con una differenza anche di 12mila euro l’anno fra il primo e l’ultimo. Nelle pieghe di questo sistema risiede la vera discriminazione fra docenti di ruolo e precari: il supplente viene retribuito sempre col minimo contrattuale. La situazione però cambia nel momento in cui viene stabilizzato: a quel punto ha diritto alla ricostruzione della carriera pregressa, e quindi ad essere assunto non all’interno del primo scalino, ma nel secondo, o magari addirittura nel terzo. Lo stesso docente che prima prestava servizio per 20mila euro l’anno, dunque, da assunto potrebbe gravare sulle casse pubbliche per 24mila o 26mila euro. E in questa casistica rientrerebbero in tanti, considerato l’alto numero di precari «storici» che da anni attendono un posto fisso in graduatoria, lavorando intanto da supplenti. Da tali variabili, moltiplicate per migliaia e migliaia di situazioni, nasce il costo della stabilizzazione.
Questo per quanto riguarda gli annuali, circa 42mila. Poi si entra nella salva delle supplenze brevi, che il Ministero vorrebbe coprire con gli organici funzionali. E qui il discorso si complica ulteriormente: perché si deve ragionare su spezzoni di cattedre e periodi frammentati. Lo Stato ci spende già 600 milioni l’anno. Altra cosa sarebbe assumere un docente di ruolo (che va pagato tutti i mesi, ferie, festività e scatti compresi). Né sarebbe possibile reinvestire su questi contingenti tutte le risorse delle supplenze brevi, perché – come sottolineano gli stessi dirigenti del Ministero – queste non potranno scomparire completamente.
C’è anche un precedente che svela le difficoltà dell’operazione. Un paio d’anni fa l’ex ministro Carrozza aveva provato a stabilizzare i 14mila posti vacanti (quelli accumulatisi per mancato turnover). Il Tesoro aveva dato l’ok, a patto che le assunzioni avvenissero a costo zero. E come soluzione si era pensato ad una modifica del contratto, innalzando il primo scatto a 11 anni di anzianità, proprio per farvi rientrare la maggior parte degli interessati dal provvedimento. Ma l’ipotesi sarebbe stata irricevibile per i docenti (i cui stipendi sono già bloccati dal 2009), e non se ne fece nulla.
Adesso il governo ci riprova, ed è pronto a mettere risorse importanti sul tavolo. Quante di preciso lo si capirà nei prossimi mesi. Ci sono tante variabili di cui tenere conto: al Ministero nelle ultime settimane hanno lavorato soprattutto su questo. Ma il quadro resta complesso, come testimonia anche il rinvio deciso all’ultimo momento. «Aspettavamo dei numeri per ieri, aspetteremo ancora», commenta Rita Frigerio, della Cisl Scuola. «Su una questione di tale importanza ci vuole chiarezza. Di certo un miliardo non basta. Almeno se si vuole fare tutto subito. Se invece l’intenzione è di spezzettare il piano il discorso cambia. Ma cambia anche il valore della riforma».
La Stampa – 30 agosto 2014