Rettore Rosario Rizzuto, l’Università di Padova mette a disposizione il maggior numero di accessi a Medicina in Italia: 320. Ma ancora non bastano. E’ davvero l’abolizione del numero chiuso la soluzione alla carenza di camici bianchi?«La soluzione è una programmazione complessiva che tenga conto del reale fabbisogno degli ospedali e del territorio, perchè mancano anche i medici di famiglia. Gli Atenei con la Scuola di Medicina hanno presentato al ministero dell’Istruzione e dell’Università la proposta di aumentare subito del 20% il numero di accessi a questo corso di laurea e passare a un incremento del 50% nel giro di pochi anni. Per rispondere alle esigenze del Paese i numeri devono crescere e quindi siamo disposti a passare da 10mila a 12mila laureati all’anno, ma non abbiamo risorse, aule e docenti per eliminare il numero chiuso. E comunque il nodo è un altro».
Cosa proponete al governo? «Finora lo Stato ha sempre chiesto alle Università di operare a risorse costanti, ma adesso ci deve mettere nelle condizioni di incrementare l’offerta formativa: ci vogliono maggiori risorse e più posti nelle Scuole di specialità. Noi ci impegniamo a fare la nostra parte, che però da sola non basta: va garantito a chi affronta un percorso di studi così impegnativo che al termine troverà una destinazione».
Calato sul Veneto un potenziale aumento delle borse di studio per gli specializzandi cosa porterebbe? «Potrebbero seguire il tirocinio non solo a Padova ma in altri ospedali della regione, venendo così incontro alla necessità di potenziarne gli organici. Quanto al nostro Ateneo, da 320 posti a Medicina salirebbe a 500. E’ necessario aumentare l’offerta con numeri sostenibili, non ingestibili».
E’ vero che c’è un crollo di vocazioni? «No, da noi al test di ingresso a Medicina quest’anno si sono presentati 2998 candidati, a fronte appunto di 320 posti. Resta un mestiere bellissimo. La speranza di diventare medico è una delle scelte di vita e professionali tra le più ambite».
Parla per esperienza, lei è medico. «Sì, ma io ho scelto il dottorato di ricerca, sono stato il secondo iscritto a un corso allora sperimentale».
Trent’anni fa non c’era il problema di trovare camici bianchi. «Lo si evince anche dall’ondata di pensionamenti alla quale stiamo assistendo e che riguarda una generazione di colleghi entrati nel sistema in grandi numeri. E che in grandi numeri lo sta lasciando, creando un buco che non riusciamo a coprire con le risorse disponibili oggi, insufficienti a far fronte al fabbisogno del Paese».
Sono particolarmente in crisi alcune specialità, come Anestesia, Pediatria, Medicina d’urgenza, Chirurgia generale. Sono meno frequentate perchè comportano rischi maggiori? «Quando hai a che fare con il bene primario, cioè la salute, non esistono specialità esenti da rischi, grandi aspettative da parte del paziente e critiche. Il problema delle branche citate è che richiedono un gran numero di professionisti, superiore ad altre».
Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto