Il referendum. Richiesta di abrogazione parziale per evitare di cancellare il riferimento alla legge di Bilancio. Il ministro rassicura: risorse con la finanziaria del 2026, non prima
Dopo la Campania, alla fine di una movimentata seduta non stop in Consiglio regionale durata 24 ore, anche l’Emilia Romagna ha approvato le richieste di referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Martedì 16 luglio sarà la volta delle altre tre regioni governate dal centrosinistra, ossia Toscana Puglia e Sardegna. Cinque regioni, appunto, come prevede l’articolo 75 della Costituzione: proprio per permettere al Consiglio dell’Emilia Romagna di votare la richiesta di referendum nel pieno delle sue funzioni il presidente uscente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, appena eletto eurodeputato, ha deciso di rimandare le sue dimissioni a domani. Ma le opposizioni hanno comunque già avviato l’altra strada possibile, con l’avvenuto deposito in Cassazione del quesito referendario per l’abrogazione totale della legge: le 500mila firme andranno raccolte entro il 30 settembre per poter celebrare la consultazione popolare nella primavera del 2025. E la segretaria del Pd Elly Schlein si aspetta «un’estate militante» che possa fungere anche da prova e collante del futuro campo largo, visto che alla campagna referendaria partecipano tutti i partiti delle opposizioni, dal M5s di Giuseppe Conte alla renziana Italia Viva.
Insomma, il Pd punta sulla strada maestra della mobilitazione popolare per la raccolta delle firme. Ma con il voto delle cinque regioni “rosse” è stato previsto un paracadute, visto che il ministro leghista degli Affari regionali Roberto Calderoli ha inserito all’articolo 3 del suo Ddl un riferimento alla legge di bilancio per finanziare quei Livelli essenziali di prestazione (Lep). Ebbene, dato che l’articolo 75 della Costituzione vieta i referendum abrogativi sulle «leggi tributarie e di bilancio», quel riferimento inserito da Calderoli potrebbe sulla carta determinare l’inammissibilità del quesito di abrogazione totale (anche se per molti costituzionalisti, che ricordano il caso del referendum sulla scala mobile, è ipotesi remota). Da qui le due diverse richieste fatte dalle cinque regioni: una di abrogazione totale e una di abrogazione parziale, lasciando intatto l’articolo 3 e incidendo sugli articoli 1 e 4.
Il risultato, come spiega il responsabile Riforme del Pd Alessandro Alfieri, è duplice: da una parte dovranno essere definiti e finanziati tutti i Lep prima di procedere a qualunque attribuzione di competenze, dunque anche delle nove materie non “leppizzabili”; dall’altra la definizione dei Lep è riportata alla competenza del Parlamento. Intanto Calderoli, durante il question time alla Camera, rassicura sulla tempistica: «I Lep saranno trasmessi alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard ai fini della determinazione dei relativi costi e fabbisogni standard a partire dal 2025, e quindi le risorse necessarie per il finanziamento degli eventuali oneri derivanti dai Lep individuati potrebbero essere stanziate solo a partire dalla legge di bilancio 2026 e non dalla prossima legge di bilancio».
Tornando alla battaglia referendaria, Alfieri stesso ci tiene a precisare che la richiesta di abrogazione parziale è stata pensata solo «come rete di sicurezza», mentre la via maestra «resta la cancellazione totale della legge». Come ricordato proprio ieri da Schlein in un convegno sulle riforme organizzato dal Pd in Senato: «Sarà importante la sfida referendaria fatta in modo aperto e largo. Insieme dovremo raccontare quello che fa la riforma: limita l’accesso ai diritti fondamentali, dalla sanità alla scuola, al trasporto pubblico locale». Con quali probabilità di successo, visto che i referendum abrogativi sono validi solo se va a votare la metà più uno degli aventi diritto e negli ultimi 30 anni il quorum è stato raggiunto solo una volta (nel 2011, beni pubblici e nucleare), è un altro capitolo.
Il Sole 24 Ore