Le infezioni sono la conseguenza di un microbo nel posto sbagliato al momento sbagliato. Se il microbo è un batterio, dalla penicillina in poi, abbiamo affinato le armi per affrontarlo e sconfiggerlo. Peccato, però, che negli ultimi 70 anni abbiamo affrontato le infezioni batteriche con l’equivalente di una guerra nucleare – un attacco ad ampio spettro contro tutti i batteri indistintamente – invece di cercare di comprendere nelle sfumature come coesistere con loro(ricordiamo che nel corpo umano, il numero di cellule batteriche supera di 1,3 volte, vale a dire fino a 10 volte, quello delle cellule umane), creando una reciproca dipendenza con periodici dissapori.
E dato che le popolazioni batteriche si stanno sempre più sviluppando in ceppi resistenti agli antibiotici comunemente utilizzati, è arrivato il momento di riconsiderare il nostro rapporto coi microbi. Un rapporto molto caro all’epidemiologo ed economista Ramanan Laxminarayan, oggi alla guida del Center for disease dynamics, economics & policy di Washington e ricercatore presso la Princeton University, e che sarà tra i protagonisti del National Geographic Festival delle Scienze di Roma (dall’11 al 14 maggio all’Auditorium Parco della Musica): tema chiave del festival sarà “Il cambiamento”, chiave di lettura non solo della natura che ci circonda, ma della società in cui viviamo e di noi stessi, nel nostro percorso di esseri umani. La Lectio magistralis di Laxminarayan verterà proprio sulla necessità di cambiare il nostro approccio nei confronti di microbi e batteri, di fronte alla diffusione di ceppi resistenti ai più comuni antibiotici.«Da vent’anni studio il rapporto tra noi e i microbi – ci risponde Laxminarayan – Potremmo vivere senza molte cose, ma sono i microbi che hanno reso possibile la vita sulla terra producendo ossigeno. Per questo abbiamo bisogno di una comprensione più sofisticata del mondo microbico, come lo influenziamo con l’impiego di antibiotici e che cosa potrebbe offrirci in futuro».
A questo proposito gli abbiamo chiesto quali sono le priorità per contrastare il fenomeno della resistenza agli antibiotici. «Abbiamo una grande esperienza con questi farmaci miracolosi e che costano molto poco. Dobbiamo però ridurne l’uso sia negli esseri umani sia negli animali e migliorare il controllo delle infezioni. In secondo luogo, dobbiamo trovare alternative agli antibiotici, come ad esempio vaccini e anticorpi monoclonali. Dobbiamo fare di più insomma per non essere troppo dipendenti dagli antibiotici. Infine, dobbiamo investire in nuovi anti-batterici, anche se la ricerca richiede tempo e il prezzo finale potrebbe essere più alto rispetto agli antibiotici in uso». L’uso massiccio di antibatterici negli allevamenti è sicuramente una minaccia per la salute umana. Ma esiste il potenziale per ridurne il consumo? «C’è un enorme potenziale di riduzione. Molte produttori di pollame negli Usa e in Europa hanno dimostrato che è possibile eliminare completamente l’uso di antibiotici in questo settore. Se lo facessero in tutto il mondo, potremmo avere accesso a pollame senza antibiotici. E la stessa cosa è fattibile anche negli allevamenti di suini e bovini».
L’antibiotico-resistenza è infatti un fenomeno globale. In che modo i Paesi possono cooperare per preservare l’accesso ad antimicrobici efficaci? «Tutti i membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a prendere misure specifiche al fine di garantire un uso corretto di questi farmaci. Ogni Paese quindi deve assicurarsi che il piano d’azione globale dell’Oms venga rispettato. In più, ognuno di noi può contribuire e fare la sua parte: per esempio evitando di autoprescriverci gli antibiotici, perchè questa procedura alla fine mette tutti a rischio. Sono state fatte molte proiezioni su questo aspetto, ma la mia preoccupazione principale riguarda i nuovi nati nei Paesi in via di sviluppo: qui si stimano circa 250mila neonati che muoiono ogni anno perché i farmaci che vengono somministrati non funzionano. Nel mondo sviluppato, il problema riguarda invece gli anziani, più suscettibili alle infezioni resistenti ai farmaci: sarà un disastro se questi pazienti non riusciranno a godere dei vantaggi della medicina moderna».
Il Sole 24 Ore – 7 maggio 2017