Si può fotografare la felicità del mondo? Ci prova l’Onu che oggi presenta il “World Happiness Report” in occasione della Giornata internazionale della felicità. La prima edizione era stata pubblicata nel 2012 (a sostegno dell’UN High Level Meeting sulla felicità e sul benessere). Per capire se si è nati dalla parte giusta, bisogna guardare una classifica che non fa sconti a nessuno. Ci sono ottime possibilità di svegliarsi con il sorriso in Norvegia, per la prima volta in vetta alla graduatoria dei 156 Paesi. Molte meno in Italia. Il nostro Paese è al quarantottesimo posto perché, in compagnia di Spagna e Grecia, è considerato tra quelli che hanno avuto un tracollo nella qualità della vita media. Un risultato non proprio sorprendente, quasi che l’Opa alla felicità sia, da troppi anni, per noi utopica. Subito dietro la Norvegia ci sono invece Danimarca, Islanda, Svizzera, Finlandia, Paesi Bassi, Canada, Nuova Zelanda, Austria e Svezia. Tempi bui, al contrario per gli Stati Uniti scesi al quattordicesimo posto. L’America ha perso 0,51 punti, su una scala da 0 a 10, a causa del crollo del senso della libertà personale e la percezione di una maggiore corruzione a livello di governo e di business.
Lo studio incrocia i dati su argomenti fondamentali per l’eterna ricerca della felicità: cura della persona, libertà, generosità, onestà, salute, reddito e buona gestione. «Il World Happiness Report — ha commentato Jeffrey Sachs direttore del Sustainable Development Solutions Network (rete di centri di ricerca indipendenti e università che redige il rapporto e ha da quest’anno, e per i prossimi tre, come partner la fondazione Ernesto Illy) — punta l’attenzione globale sulla necessità di creare una politica sana e mirata a favorire il benessere delle persone ». Non a caso la Norvegia è prima, scalando tre posizioni rispetto all’anno precedente, nonostante la crisi del petrolio di cui è il principale produttore in Europa. «Il trionfo della Norvegia — spiega John Helliwell, della University of British Columbia — è la dimostrazione che la misurazione della felicità non è legata al reddito ma alla fiducia reciproca, alla generosità e al buon governo».
L’edizione 2017 del rapporto dedica un ampio capitolo all’influenza del lavoro sull’esistenza. «La gente tende a trascorrere la maggior parte della vita in ufficio — osserva Andrea Illy, presidente Illycaffè, anche lui alle Nazioni Unite — di conseguenza occupazione e disoccupazione hanno un ruolo fondamentale nel plasmare i sentimenti. I dati dimostrano quanto avere un lavoro sia importante per essere contenti, ovunque nel mondo gli occupati hanno una qualità delle vita migliore. Ma anche chi ha un regolare impiego, se vive in un contesto ad alta disoccupazione come in Italia, risente del clima generale ». Parlare della felicità è diventato più facile da quando è stata sdoganata l’inadeguatezza di uno strumento come il Pil. Addirittura un “Fil”, indice di felicità interna lorda, è stato introdotto dall’ex re del Buthan Jigme Singye Wangchuck. Il reddito annuale pro capite, uno dei più bassi di tutta l’Asia, non è il parametro scelto dal piccolo Paese per valutare la propria crescita che, soprattutto, si basa su un’economia più giusta fondata sui principi del buddismo, sul rispetto per l’ambiente e sul buon governo.
«Il nostro motto “Vivere happilly” evoca l’eterna ricerca dell’uomo per la felicità, che comprende il benessere, l’altruismo e la prospettiva del futuro — conclude Illy — e da sempre promuove quello che io chiamo il circolo virtuoso del caffè che porta sviluppo sociale ed economico all’interno delle comunità produttrici. Questo importante mix di stile di vita e sana sostenibilità generato dal caffè spiega la scelta di sostenere il World Happines Report».
Repubblica – 20 marzo 2017