I primi segnali (incerti) di ripresa dei consumi trovano un italiano molto cambiato, più povero di dieci anni fa, più propenso a privilegiare i cibi salutisti e a maggior valore, più interessato ad acquistare un’auto o la casa per i figli approfittando dei tassi d’interesse molto bassi: è la fotografia dell’Italia scattata dal Rapporto Coop 2017, presentato ieri a Milano. Un’occasione anche per fare il punto sull’evoluzione della catena commerciale Coop, leader per vendite (13,1 miliardi), ma più lenta dei migliori competitor nel rilancio del dopo-crisi. L’anno scorso ha registrato anche un taglio del 12% del prestito sociale (risorse per finanziare l’impresa) a 9,6 miliardi.
I segni della crisi
«La ripresa c’è ma le cicatrici sociali restano – è la sintesi del direttore generale di Ancc-Coop, Albino Russo, che cura il Rapporto -. Il 28,7% delle famiglie, ovvero un italiano su 4, è a rischio povertà o esclusione sociale (era il 26% nel 2007). E in questa Italia che aggancia per ultima il treno della ripresa troviamo gli italiani ossessionati dalla salute e dalla rincorsa al benessere». Solo per la cura del corpo spendono circa 10 miliardi l’anno. E quando la cosmesi non basta si ricorre alla chirurgia estetica, tanto da figurare nella top ten mondiale.
I “cibi terapeutici” (quelli salutisti, di moda) valgono oramai il 10% dei consumi alimentari e crescono il doppio della media: +5% l’ultimo anno, i superfood l’8%. Dalle vendite nella grande distribuzione si nota l’effetto sostituzione a vantaggio delle varianti più salutari. Anche quando si ha a che fare con i prodotti della tradizione: così cede terreno il latte Uht (-4,6%) in favore di quello ad alta digeribilità (+174,4%) o le uova di galline allevate in batteria (-8,2%) a favore di quelle allevate a terra (+15%). E scorrendo la lista è tutto un surplus di prodotti considerati benefici: crescono gli integrali, i senza glutine, i senza lattosio. Se consideriamo solo il “senza olio di palma”, diventato anche un caso mediatico, il giro d’affari registra un più che promettente +13,5%.
Quale la performance di Coop nel primo semestre 2017? Le vendite nel grocery sono cresciute dell’1,2% a valore e del 2,1% a volume. «Siamo soddisfatti di questo semestre – ha detto Marco Pedroni, presidente di Coop Italia – che inverte la tendenza dell’ultimo biennio che ci vedeva sotto le medie di mercato. Il bilancio 2016 si è chiuso in equilibrio e Coop per i prossimi tre anni ha l’obiettivo di rilanciare il posizionamento come insegna leader nella testa degli italiani. Per farlo daremo un forte impulso alla marca Coop (400 nuovi prodotti nel 2017/18), più forza e omogeneità territoriale, anche con il franchising, e spingeremo l’innovazione nelle aree del Centro-Nord dove siamo leader». E la concorrenza dei player online? «Mi preoccuperei soprattutto che pagassero le tasse» la risposta di Pedroni.
Il ruolo della finanza
L’anno scorso la galassia Coop ha fatturato 13,1 miliardi(+0,2%), a cui vanno aggiunti 1,4 miliardi di carburanti, telefonia, energia, bricolage e servizi alle persone.
Il rapporto Mediobanca 2015 segnalava che le Coop Top 11 registravano una perdita operativa aggregata dello 0,7% del giro d’affari (sei cooperative in rosso), ma un risultato positivo (3,1%) grazie alla gestione finanziaria. I negozi raccolgono risparmio dai soci prestatori e lo stock complessivo nel 2015 ammontava a circa 11 miliardi.
E la gestione caratteristica nel 2016? Pedroni ha ammesso che il Mol ha perso un punto rispetto all’esercizio precedente ma questo si spiega con la forte spinta alla convenienza impressa nell’anno. Mentre Russo ha stimato un risultato finale aggregato (appesantito dalle svalutazioni dei titoli) intorno allo zero, forse -0,1/-0,2%, con tutte le complicazioni di calcolo dovute alla struttura della galassia Coop.
Dati dunque che devono migliorare ma che sono il risultato di una impresa commerciale nazionale che continua a investire, con onerose ristrutturazioni, anche al Sud. Senza abbandonare il territorio. Negli ultimi anni le Coop sorelle finanziariamente più forti sono intervenute nella crisi, per esempio, di Unicoop Tirreno, di Coop Sicilia e diverse altre più piccole.
«In questi anni difficili – ha detto il presidente dell’associazione delle cooperative di consumo Stefano Bassi – Coop ha mantenuto i presidi territoriali, ma per investire e mantenere l’occupazione dobbiamo liberare risorse riducendo i costi e tra questi il differenziale troppo pesante che la distribuzione cooperativa sopporta rispetto agli operatori privati, senza volerci omologare».
Il Sole 24 Ore – 8 settembre 2017