Per la sanità, ferme le riduzioni del fondo sanitario, la partita sul come, quanto e dove tagliare e razionalizzare deve ancora essere giocata. Ecco perché e con quali prospettive
Sull’onda delle speculazioni finanziarie, che rischiano di travolgere la nostra stabilità sui mercati, è scattata “la grande tregua” e la manovra sarà varata molto probabilmente già entro questa settimana. Ma per la sanità, ferme le riduzioni del fondo sanitario, la partita sul come, quanto e dove tagliare e razionalizzare deve ancora essere giocata. Ecco perché e con quali prospettive.
Nel giro di 48 ore è tutto cambiato. Per la manovra economica varata una settimana fa dal Governo, e per la quale le opposizioni parlamentari e gran parte delle forze economiche e sociali erano pronte a dar battaglia, è scattata la “grande tregua”. Il via l’hanno dato i mercati e le vorticose operazioni speculative attorno ai buoni del Tesoro italiani per i quali si è registrato un crollo dello spread, con conseguente crescita dei tassi di interesse e il rischio reale, se non di default, di gravissima crisi per la nostra stabilità economica. Poi l’intervento decisivo di Giorgio Napolitano che ha invitato tutte le forze politiche a collaborare immediatamente per una rapida e possibilmente condivisa approvazione del decreto legge all’esame del Senato.
Due segnali ai quali, va detto, maggioranza e opposizione sembrano aver deciso di rispondere positivamente con l’impegno ad un esame velocissimo del testo (si parla di un sì del Senato giovedì e della Camera entro domenica) apportandovi probabilmente poche variazioni nel merito ma senza toccare i saldi stabiliti da Tremonti.
A questo punto, già la settimana prossima, il pacchetto di 51 miliardi del decreto legge, ai quali dovrebbe aggiungersi subito dopo il decreto delegato su fisco e assistenza per altri 17 miliardi, potrebbe essere legge.
Tutto finito, dunque? Non è detto. A leggere bene la manovra, almeno per quanto concerne la materia di nostro primario interesse e cioè la sanità, i giochi potrebbero infatti riaprirsi già a settembre. Il comma 1 dell’articolo 17, riguardante per l’appunto la razionalizzazione della spesa sanitaria, poste le riduzioni negli stanziamenti per il fondo sanitario che si bloccheranno su un incremento dello 0,5% nel 2013 e dell’1,4% nel 2014 ( a fronte degli attesi + 2,8% e + 4%) e sui quali a questo punto non si interverrà più, stabilisce che si debba trovare un’intesa fra Stato e Regioni per un nuovo Patto per la salute entro il 30 aprile 2012. Solo qualora l’intesa non sia raggiunta scatteranno i provvedimenti di ridimensionamento della spesa con l’introduzione delle varie misure (ticket, nuovi tetti per la farmaceutica e per i dispositivi medici e così via) che, in alcuni casi, prevedono in ogni caso il varo di nuovi provvedimenti attuativi.
Ecco, alla luce della “grande tregua”, quanti hanno puntato su cambiamenti in corso di conversione in legge del decreto, sappiano che è in questa finestra temporale, che si chiuderà il prossimo 30 aprile, che si potrà provare a modulare e gestire diversamente la manovra sanitaria, anche se a saldi intatti.
E’ una partita nuova, difficile, dove devono prevalere razionalità e capacità di proposta, tenendo conto della necessità, ormai scontata, di una razionalizzazione della spesa sanitaria. E questo vale in primis per le Regioni e poi per gli operatori, per le aziende del settore e per i cittadini.
Molti analisti hanno giustamente sottolineato che con un taglio di 8 miliardi al fondo sanitario ( a tanto equivale la riduzione dei tassi di incremento per il 2013 e 2014) si rischia di mettere in forse la stessa sopravvivenza del Ssn.
Il rischio c’è e soprattutto si intravede nella possibilità che, a seguito di questi ridimensionamenti, anche le Regioni con una sanità storicamente forte (Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna) vadano in crisi finanziaria ed economica.
Onestamente non so se andrà così o se, ancora una volta, il sistema sanitario italiano riuscirà a ritrovare il bandolo perduto della matassa attuando riforme e riorganizzazioni importanti come ha saputo fare in anni altrettanto bui.
Ma certamente una cosa va evitata: non dire la verità al Paese su cosa effettivamente siamo in grado di garantire in termini di assistenza sanitaria e in termini di tutele e garanzie anche per chi nella sanità opera direttamente o indirettamente.
La risposta non è scontata. Gridare fin d’ora alla fine della sanità pubblica mi sembra obiettivamente sbagliato. Non è nelle intenzioni di Tremonti, né del Pdl e della Lega, l’abbandono del Ssn. Si è piuttosto consolidata la convinzione (dalla quale non sono esenti anche rilevanti componenti delle opposizioni, soprattutto Udc e Pd) che la sanità pubblica vada razionalizzata e che, nonostante gli indubbi risultati già raggiunti, vi siano ancora sacche consistenti di sprechi e inefficienze che potrebbero essere eliminate senza stravolgere l’impianto universalistico e solidale del nostro Ssn. Un obiettivo che non può però, come soprattutto la maggioranza sembra ipotizzare, essere lasciato solo nelle mani del federalismo e dei costi standard sanitari. Senza un ripensamento globale degli assetti e degli equilibri attuali della spesa sanitaria, il federalismo e i costi standard non faranno altro che congelare lo status quo tra regioni virtuose e regioni “canaglia”.
E allora è proprio su questo terreno, su quello del come, del dove e del quanto razionalizzare che, in questa situazione di emergenza nazionale, si deve ricercare la massima condivisione delle responsabilità tra tutti gli attori del sistema sanitario.
In questa direzione è già andata la Farmindustria che per prima ha chiesto l’apertura di un tavolo sulla farmaceutica e in questa direzione potrebbero/dovrebbero andare anche i sindacati della sanità che hanno indetto i loro Stati Generali il prossimo 21 luglio, quando la manovra sarà ormai legge. E lo stesso, in sedi diverse, potrebbe/dovrebbe fare l’opposizione parlamentare che oggi si trova nelle condizioni di “dover” rinunciare ad opporsi a una manovra non condivisa in nome del bene supremo della Nazione.
In questo ipotetico e, per quanto mi riguarda, auspicabile scenario di confronto, la maggioranza, il Governo e le Regioni hanno però il dovere di provare tenacemente a contemperare le diverse proposte alternative di razionalizzazione che dai vari “tavoli” potrebbero scaturire.
E per farlo c’è una sola via: avviare una sorta di “Conferenza nazionale sulla sanità” per effettuare una vera e completa rivisitazione del nostro sistema sanitario che sblocchi definitivamente le riforma mai fatte (in primis quella della riorganizzazione dei servizi territoriali e ospedalieri) per offrire ai cittadini (che saranno anche loro tenuti a fare la loro parte con i ticket) un servizio finalmente efficiente e responsabile di ogni euro speso in ogni parte del Paese.
Cesare Fassari – quotidianosanita.it – 12 luglio 2011